mercoledì 30 luglio 2008

Lettere dal silenzio

Nonostante il traffico del venerdì notte Claudia riuscì a parcheggiare la Smart con relativa rapidità, proprio davanti il palazzo a vetri che, con la sua strana curvatura, le aveva sempre ricordato la vela di una barca.
Spense il motore, aprì lo sportello e raccolse la borsa quasi con un unico rabbioso movimento; ma fu un gesto maldestro perché parte del contenuto della sacca – un pacchetto di sigarette, il secondo cellulare, la pochette Prima Classe - si rovesciò tra il marciapiede e il pavimento dell’auto.
Scese e raccolse tutto imprecando a bassa voce. Qualcuno dei tanti frequentatori il Bistrò Beethoven si accorse di lei e dell’accaduto; la qual cosa la irritò ancora di più ma tanto ormai, peggio di così… Eppure la sua serata era cominciata in modo del tutto diverso da come stava terminando e, soprattutto, con ben altre prospettive.
I sandali neri tacco dieci erano bellissimi ma, ne prese definitivamente atto, di camminare veloci proprio non se ne parlava; tanto più che la gonna, lunga al ginocchio ed aderente, le impediva qualsiasi movimento rapido.
Si obbligò a moderare sia il passo sia l’ansia crescente e finalmente giunse al portone. L’edificio doveva essere quasi del tutto deserto perché quasi del tutto adibito ad uffici; attraversando l’androne si domandò se ne fosse l’unica frequentatrice e se quest’eventualità avrebbe dovuto in qualche modo preoccuparla.
Nell’ascensore – sempre troppo lento nell’arrivare al terzo piano – si guardò allo specchio.
Chiunque avrebbe detto che era in gran forma: bella ma ancor di più affascinante, elegante e determinata (qualcuno avrebbe aggiunto stronza, come se i due termini fossero sinonimi); lei invece vedeva solo il riflesso di una donna stanca, con poche ore di sonno e molti pensieri, con la pelle sciupata da troppe sigarette e dallo stress.
La fredda luce della cabina le restituiva un’immagine contraddittoria e demoralizzante.
Le porte automatiche si aprirono rumorosamente davanti al suo, anzi al loro, ufficio. Studio Associato di Architettura riportava la targa in ottone con il logo smaltato a due colori; disegno realizzato da lui e materiale scelto da lei.
Complementari come sempre, avrebbe detto lui, almeno sul lavoro; era stata proprio lei ad obiettare qualcosa l’ultima volta che se n’era parlato e, di conseguenza, lui aveva smesso di scherzare anche su questo argomento.
Qualcosa all’ingresso catturò per un attimo la sua attenzione - le sembrò fuori posto - ma non riuscì a concentrarsi su quel pensiero tanta era l‘inquietudine che l’assaliva.
Accese le sole lampade del corridoio e si diresse verso la stanza di Alessandro, uno dei soci dello studio ma, soprattutto, il motivo per cui lei si trovava lì in quel momento.
Entrò nella camera e per un lungo momento ne respirò il silenzio; tra le luci interne ed il riflesso ocra dei lampioni giù in strada, tutto era avvolto in una piacevole penombra. Si sedette alla scrivania e cercò di riorganizzare le idee mentre vagava con lo sguardo sull’ambiente circostante.
Sulla sinistra c’era il più grande dei due tavoli da disegno con il raccoglitore per i progetti, davanti alla parete specchiata era sistemata la poltrona Stressless ed un enorme vaso antico; in fondo aveva trovato posto lo scaffale dei viaggi, pieno di libri fotografici e caratteristici souvenirs.
Nell’apparente tranquillità che la circondava continuava a ripetere a mente ciò che aveva sentito raccontare da una sconosciuta in un bar soltanto un’ora prima.
Inutilmente provava a dare un senso compiuto a quelle frasi rubate al vociare della gente ed alle insistenti domande del suo accompagnatore.
[continua... forse]

mercoledì 9 luglio 2008

Messaggi nella nebbia

Anche questa sera c'è nebbia.
Giro a sinistra, poi sempre dritto fino al termine del viale.
Da qualche tempo la nebbia cala silenziosamente anche qui vicino al mare. Una sorta di sipario, insopportabilmente freddo e umido, sulle vite di tutti coloro che sono nascosti dietro i fari che ora mi vengono incontro.
Dopo il semaforo di nuovo a sinistra.
Oppure sono io - come sempre del resto - ad andare nel senso opposto a tutti gli altri, persino rispetto alla parte razionale di me stesso? Non sono forse io ad ignorare l'evidenza stessa della mia vita?
Il clacson di un incrocio interrompe l'inutile ragionamento metaforico.
Una coppia clandestina ha evidentemente fretta di ritornare alla finta normalità; mi fermo e li lascio passare anche se avrei la precedenza.
Riesco a scorgere lei, bionda, che infila la testa in una maglia, nera, dopo averla già indossata dalle braccia. Lui guida nervoso e fuma.
C'è un'interruzione sulla destra ma io vorrei proseguire.
Chissà perché le donne indossano i maglioni infilandoci prima le braccia mentre noi uomini facciamo sistematicamente il contrario.
Chissà com'é che una donna riesce ad operare - con precisione chirurgica - qualsiasi cambiamento nella vita di un uomo e, dopo che l'intervento è riuscito, dichiarare emotivamente deceduto il paziente.
E andarsene via, naturalmente, quasi come se nulla fosse.
Giallo al semaforo, potrei ignorarlo ma non ho fretta di niente.
Uomini e donne sono diversi. Che banalità sconcertante da raccontarsi guidando nel buio sporco di una litoranea deserta, fino ad uno spiazzo dove fermarsi a guardare il mare, o almeno sentirne la voce.
Ancora una volta mi scopro a barare con me stesso e neppure mi assolvo, non mi concedo neanche l'attenuante di una procurata depressione.
Questa è la nostra terrazza sul mare.
Nostra per estensione del termine, insomma mio e suo, suo di lei, ci venivo con lei, quando c'era lei!
Una piccola radura sospesa sulla scogliera nera, vicino ad un maneggio dove in primavera si sentono le grida dei bambini ogni volta che qualcuno di loro riesce ad accarezzare un puledro.
Rallento, mi fermo, freno a mano e quadro spento.
Ricapitolando. Lei non c'è, ormai guido da ore, il cellulare è talmente muto da sembrare guasto, parlo da solo e sono stupidamente tornato in un luogo che mi può solo far stare peggio. C'è altro da aggiungere?
Per la precisione la frase "lei non c'è" non spiega esattamente la situazione. "Lei è in pausa di riflessione" è una citazione decisamente più appropriata.
Vorrei scendere però temo che gli inquilini delle altre auto possano prendersela a male; già il fatto di essere qui da solo tanto normale non deve farmi apparire.
Così resto a contemplare il led verde di un telefono inutile, le luci azzurre di una radio silenziosa, il buio fitto di tutti i miei pensieri. Ma l'immobilità è un lusso che i miei nervi non possono permettersi a lungo.
Retromarcia, prima, seconda, tengo i fari bassi e via.
Le auto sulla strada ora sono sempre meno ed io mi sento sempre peggio. Pioviggina.
Se soltanto sapessi raggiungerla in qualche modo, se i gesti avessero un senso, se le parole potessero parlare.
Torno indietro, prendo a destra, passo dietro il vecchio castello.
Se... se soltanto il messaggio che è appena arrivato fosse il suo...
ore 21,17 fai attenzione per strada, questa sera c'è nebbia...
Accosto e lascio passare un tizio che ha meno pazienza di me.
Rileggo il testo ma più che altro mi accerto che sia lei il mittente.
C'è un altro sms ed io non ho ancora riflettuto sul primo.
ore 21,19 se, come immagino, passerai da qui fermati, se ti va...
Non so più che pensare e il cellulare suona ancora.
ore 21,20 io ti aspetto...

Mi sembra che ci sia di nuovo campo. Nella mia vita, intendo!
La nebbia - questa è una cosa che d'ora in poi mi ricorderò - non sempre nasconde la strada da percorrere.

lunedì 7 luglio 2008

Non ti voglio più

È vero, non ricordo
e non c'è più emozione.

Davvero,
non c'è un segno
che indichi il dolore
e ho smesso di cercarti
la notte e il giorno, invece,
ho smesso di sognare.

È vero che il silenzio
non genera calore
né tenerezza alcuna.
Io non ti penso più
e non ho più domande.

Ma quanti inganni occorrono
per una verità?