Duecento gradini
Sono ancora qui!
Ormai passo più tempo su questo pianerottolo che sul mio divano.
Se mi hanno visto aggirarmi per queste scale anche ieri sera tra un minuto chiameranno la polizia. C’è una tipa sospetta che vaga nel mio palazzo o qualcosa del genere.
Così mi toccherà spiegare che non sono pericolosa ma solamente strana, ammesso che la mia stramberia non sia una problematica di carattere sociale.
Mi trovo qui perché non so ancora se bussare a casa del mio ex quasi-grande-amore o qualcosa del genere. Già me l’immagino la faccia del poliziotto…
Ieri sera, quando sono venuta a lasciargli quel primo messaggio forse un po’ banale, non avevo ancora un idea precisa di quello che avrei voluto fare; poi, mentre facevo inutili congetture, quello stupido zerbino sonoro ha cominciato a fare un casino inaspettato e sono dovuta correre via, che a momenti mi rompevo una caviglia.
La sua solita mania per i gadget. Mentre lo fisso mi chiedo da quale venditore eBay sia riuscito a scovare questa inutile novità.
Oggi, uscendo per andare al lavoro, ho trovato sotto la mia porta la sua risposta scritta sullo stesso cartoncino che gli avevo lasciato; ammetto che mi ha sorpreso, non tanto per ciò che ha scritto ma per la rapidità con cui ha replicato.
Non sono riuscita a capire come sta ma del resto non so neppure come mi sento io; dalle sue parole mi è parso così triste, avvilito, forse rassegnato. C’è da dire che un po’ ci ha sempre giocato con la malinconia e quindi… Stai a vedere che alla fine è solo incazzato ed io sto per prendermi una porta in faccia!
Nel pomeriggio, quando lo sapevo in ufficio, gli ho recapitato un altro messaggio ma poi mi è venuta la paranoia di aver scritto qualche idiozia. Sarà per questo che alla fine mi sono decisa a venire, bussare alla sua porta e vedere come va.
Però mi fermo un attimo perché il fiatone non si placa ancora.
Detesto fare le scale. L’ascensore del mio palazzo è in manutenzione per cui mi è toccato scendere quattro piani; qui – che poi è la scala di fronte alla mia, dall'altra parte dello stesso androne - sono salita a piedi fino al sesto per non rischiare di trovarmelo davanti all’improvviso.
Ogni volta che prendo le scale mi viene subito l’affanno, il cuore comincia a picchiare veloce e mi sento subito accaldata, cosa che detesto. Sarà colpa del fumo o di una vita non troppo sana ma questa cosa finisce per innervosirmi di più cosicché concludo regolarmente con l’accendere un’altra sigaretta.
Ci sono duecento gradini tra il mio ed il suo appartamento.
Li ho contati tutti e per ognuno mi è venuto in mente un ricordo, una frase, una fotografia presa da un album immaginario.
Per duecento volte mi sono chiesta cosa fosse giusto fare, cercando un buon motivo per proseguire oppure uno migliore per tornare indietro.
Duecento domande incomplete ed altrettante risposte a metà.
Tra me e lui ora c’è solo qualche metro di distanza ed una tonnellata di problemi; dall’altra parte della porta sento musica nell’aria ma non riesco a concentrarmi per seguirne la melodia.
Ancora un momento e vado. Mi sistemo i capelli ed il vestito poi, mentre tiro su le calze sotto gli stivali di vernice, annoto mentalmente di non comprare più questi collant perché hanno una cucitura che mi da fastidio.
Se Valeria mi vedesse ora riuscirebbe a trovare un modo simpatico per insultarmi; come capita nello spogliatoio dopo lo spinning oppure durante qualche venerdì sera particolarmente fortunato, quando i discorsi sulla vita e sugli uomini hanno più alcol che parole.
Non mi pare di aver esagerato, penso mentre guardo il mio riflesso scuro sulla porta dell’ascensore; non sono certo in tiro ma neppure volevo mettermi i jeans. Il vestito è nero, semplice, un po’ stretch e mi fa un bel paio di tette senza bisogno di strizzarmi in un reggiseno magico.
Ho tirato su i capelli perché a lui piacciono così ed ho un profumo caldo che piace molto a me; non ho tacchi strategici ma, a pensarci bene, Valeria avrebbe a ragione a darmi addosso. Tanto più che ha una concezione raso terra di tutto il genere maschile, tipo che basta una sola minigonna per compromettere irrimediabilmente tutte le loro - povere, dico io, poche, corregge lei – sinapsi.
Ormai passo più tempo su questo pianerottolo che sul mio divano.
Se mi hanno visto aggirarmi per queste scale anche ieri sera tra un minuto chiameranno la polizia. C’è una tipa sospetta che vaga nel mio palazzo o qualcosa del genere.
Così mi toccherà spiegare che non sono pericolosa ma solamente strana, ammesso che la mia stramberia non sia una problematica di carattere sociale.
Mi trovo qui perché non so ancora se bussare a casa del mio ex quasi-grande-amore o qualcosa del genere. Già me l’immagino la faccia del poliziotto…
Ieri sera, quando sono venuta a lasciargli quel primo messaggio forse un po’ banale, non avevo ancora un idea precisa di quello che avrei voluto fare; poi, mentre facevo inutili congetture, quello stupido zerbino sonoro ha cominciato a fare un casino inaspettato e sono dovuta correre via, che a momenti mi rompevo una caviglia.
La sua solita mania per i gadget. Mentre lo fisso mi chiedo da quale venditore eBay sia riuscito a scovare questa inutile novità.
Oggi, uscendo per andare al lavoro, ho trovato sotto la mia porta la sua risposta scritta sullo stesso cartoncino che gli avevo lasciato; ammetto che mi ha sorpreso, non tanto per ciò che ha scritto ma per la rapidità con cui ha replicato.
Non sono riuscita a capire come sta ma del resto non so neppure come mi sento io; dalle sue parole mi è parso così triste, avvilito, forse rassegnato. C’è da dire che un po’ ci ha sempre giocato con la malinconia e quindi… Stai a vedere che alla fine è solo incazzato ed io sto per prendermi una porta in faccia!
Nel pomeriggio, quando lo sapevo in ufficio, gli ho recapitato un altro messaggio ma poi mi è venuta la paranoia di aver scritto qualche idiozia. Sarà per questo che alla fine mi sono decisa a venire, bussare alla sua porta e vedere come va.
Però mi fermo un attimo perché il fiatone non si placa ancora.
Detesto fare le scale. L’ascensore del mio palazzo è in manutenzione per cui mi è toccato scendere quattro piani; qui – che poi è la scala di fronte alla mia, dall'altra parte dello stesso androne - sono salita a piedi fino al sesto per non rischiare di trovarmelo davanti all’improvviso.
Ogni volta che prendo le scale mi viene subito l’affanno, il cuore comincia a picchiare veloce e mi sento subito accaldata, cosa che detesto. Sarà colpa del fumo o di una vita non troppo sana ma questa cosa finisce per innervosirmi di più cosicché concludo regolarmente con l’accendere un’altra sigaretta.
Ci sono duecento gradini tra il mio ed il suo appartamento.
Li ho contati tutti e per ognuno mi è venuto in mente un ricordo, una frase, una fotografia presa da un album immaginario.
Per duecento volte mi sono chiesta cosa fosse giusto fare, cercando un buon motivo per proseguire oppure uno migliore per tornare indietro.
Duecento domande incomplete ed altrettante risposte a metà.
Tra me e lui ora c’è solo qualche metro di distanza ed una tonnellata di problemi; dall’altra parte della porta sento musica nell’aria ma non riesco a concentrarmi per seguirne la melodia.
Ancora un momento e vado. Mi sistemo i capelli ed il vestito poi, mentre tiro su le calze sotto gli stivali di vernice, annoto mentalmente di non comprare più questi collant perché hanno una cucitura che mi da fastidio.
Se Valeria mi vedesse ora riuscirebbe a trovare un modo simpatico per insultarmi; come capita nello spogliatoio dopo lo spinning oppure durante qualche venerdì sera particolarmente fortunato, quando i discorsi sulla vita e sugli uomini hanno più alcol che parole.
Non mi pare di aver esagerato, penso mentre guardo il mio riflesso scuro sulla porta dell’ascensore; non sono certo in tiro ma neppure volevo mettermi i jeans. Il vestito è nero, semplice, un po’ stretch e mi fa un bel paio di tette senza bisogno di strizzarmi in un reggiseno magico.
Ho tirato su i capelli perché a lui piacciono così ed ho un profumo caldo che piace molto a me; non ho tacchi strategici ma, a pensarci bene, Valeria avrebbe a ragione a darmi addosso. Tanto più che ha una concezione raso terra di tutto il genere maschile, tipo che basta una sola minigonna per compromettere irrimediabilmente tutte le loro - povere, dico io, poche, corregge lei – sinapsi.
Se sono arrivata fin qui - duecento scalini dopo tutto il male che c’è stato – non è per giocare alla grande seduttrice ma per capire, se mi riesce, cosa si può fare di questa storia e di tutti quanti noi.
Non faccio in tempo a suonare il campanello perché, dato il persistente latrato elettronico, sento già i suoi passi nel corridoio.
Non faccio in tempo a suonare il campanello perché, dato il persistente latrato elettronico, sento già i suoi passi nel corridoio.
Quando apre la porta è arrabbiato; riconosco la solita ruga verticale che gli increspa la fronte giù fino all’attaccatura del naso e gli fa stirare anche un po’ quegli occhi miopi che si ritrova.
In un attimo si rende conto della mia esistenza e fa una smorfia talmente buffa che ora sembra solo uno che per strada ha sbattuto la faccia contro un palo ed ancora non capisce come.
Cerco di sorridere perché non so bene cosa dire e perché ora mi fa una tale tenerezza che lo abbraccerei all’istante.
[continua... forse]
In un attimo si rende conto della mia esistenza e fa una smorfia talmente buffa che ora sembra solo uno che per strada ha sbattuto la faccia contro un palo ed ancora non capisce come.
Cerco di sorridere perché non so bene cosa dire e perché ora mi fa una tale tenerezza che lo abbraccerei all’istante.
[continua... forse]