venerdì 21 novembre 2008

Duecento gradini

Sono ancora qui!
Ormai passo più tempo su questo pianerottolo che sul mio divano.
Se mi hanno visto aggirarmi per queste scale anche ieri sera tra un minuto chiameranno la polizia. C’è una tipa sospetta che vaga nel mio palazzo o qualcosa del genere.
Così mi toccherà spiegare che non sono pericolosa ma solamente strana, ammesso che la mia stramberia non sia una problematica di carattere sociale.
Mi trovo qui perché non so ancora se bussare a casa del mio ex quasi-grande-amore o qualcosa del genere. Già me l’immagino la faccia del poliziotto…
Ieri sera, quando sono venuta a lasciargli quel primo messaggio forse un po’ banale, non avevo ancora un idea precisa di quello che avrei voluto fare; poi, mentre facevo inutili congetture, quello stupido zerbino sonoro ha cominciato a fare un casino inaspettato e sono dovuta correre via, che a momenti mi rompevo una caviglia.
La sua solita mania per i gadget. Mentre lo fisso mi chiedo da quale venditore eBay sia riuscito a scovare questa inutile novità.
Oggi, uscendo per andare al lavoro, ho trovato sotto la mia porta la sua risposta scritta sullo stesso cartoncino che gli avevo lasciato; ammetto che mi ha sorpreso, non tanto per ciò che ha scritto ma per la rapidità con cui ha replicato.
Non sono riuscita a capire come sta ma del resto non so neppure come mi sento io; dalle sue parole mi è parso così triste, avvilito, forse rassegnato. C’è da dire che un po’ ci ha sempre giocato con la malinconia e quindi… Stai a vedere che alla fine è solo incazzato ed io sto per prendermi una porta in faccia!
Nel pomeriggio, quando lo sapevo in ufficio, gli ho recapitato un altro messaggio ma poi mi è venuta la paranoia di aver scritto qualche idiozia. Sarà per questo che alla fine mi sono decisa a venire, bussare alla sua porta e vedere come va.
Però mi fermo un attimo perché il fiatone non si placa ancora.
Detesto fare le scale. L’ascensore del mio palazzo è in manutenzione per cui mi è toccato scendere quattro piani; qui – che poi è la scala di fronte alla mia, dall'altra parte dello stesso androne - sono salita a piedi fino al sesto per non rischiare di trovarmelo davanti all’improvviso.
Ogni volta che prendo le scale mi viene subito l’affanno, il cuore comincia a picchiare veloce e mi sento subito accaldata, cosa che detesto. Sarà colpa del fumo o di una vita non troppo sana ma questa cosa finisce per innervosirmi di più cosicché concludo regolarmente con l’accendere un’altra sigaretta.
Ci sono duecento gradini tra il mio ed il suo appartamento.
Li ho contati tutti e per ognuno mi è venuto in mente un ricordo, una frase, una fotografia presa da un album immaginario.
Per duecento volte mi sono chiesta cosa fosse giusto fare, cercando un buon motivo per proseguire oppure uno migliore per tornare indietro.
Duecento domande incomplete ed altrettante risposte a metà.
Tra me e lui ora c’è solo qualche metro di distanza ed una tonnellata di problemi; dall’altra parte della porta sento musica nell’aria ma non riesco a concentrarmi per seguirne la melodia.
Ancora un momento e vado. Mi sistemo i capelli ed il vestito poi, mentre tiro su le calze sotto gli stivali di vernice, annoto mentalmente di non comprare più questi collant perché hanno una cucitura che mi da fastidio.
Se Valeria mi vedesse ora riuscirebbe a trovare un modo simpatico per insultarmi; come capita nello spogliatoio dopo lo spinning oppure durante qualche venerdì sera particolarmente fortunato, quando i discorsi sulla vita e sugli uomini hanno più alcol che parole.
Non mi pare di aver esagerato, penso mentre guardo il mio riflesso scuro sulla porta dell’ascensore; non sono certo in tiro ma neppure volevo mettermi i jeans. Il vestito è nero, semplice, un po’ stretch e mi fa un bel paio di tette senza bisogno di strizzarmi in un reggiseno magico.
Ho tirato su i capelli perché a lui piacciono così ed ho un profumo caldo che piace molto a me; non ho tacchi strategici ma, a pensarci bene, Valeria avrebbe a ragione a darmi addosso. Tanto più che ha una concezione raso terra di tutto il genere maschile, tipo che basta una sola minigonna per compromettere irrimediabilmente tutte le loro - povere, dico io, poche, corregge lei – sinapsi.
Se sono arrivata fin qui - duecento scalini dopo tutto il male che c’è stato – non è per giocare alla grande seduttrice ma per capire, se mi riesce, cosa si può fare di questa storia e di tutti quanti noi.
Non faccio in tempo a suonare il campanello perché, dato il persistente latrato elettronico, sento già i suoi passi nel corridoio.
Quando apre la porta è arrabbiato; riconosco la solita ruga verticale che gli increspa la fronte giù fino all’attaccatura del naso e gli fa stirare anche un po’ quegli occhi miopi che si ritrova.
In un attimo si rende conto della mia esistenza e fa una smorfia talmente buffa che ora sembra solo uno che per strada ha sbattuto la faccia contro un palo ed ancora non capisce come.
Cerco di sorridere perché non so bene cosa dire e perché ora mi fa una tale tenerezza che lo abbraccerei all’istante.
[continua... forse]

lunedì 10 novembre 2008

“Non avevo capito niente” di Diego De Silva

Volevo farvi conoscere un mio amico, Vincenzo Malinconico.
Vincenzo vive in un libro e fa l’avvocato anzi è un avvocato.
La differenza non è semantica ma sostanziale e se lui fosse qui, a suo modo, saprebbe spiegarvela molto meglio di me (qualcosa del tipo che fai l’avvocato quando c’hai tre segretarie, dieci schiavetti che lavorano e incassi mettendo solo il nome sulle pratiche; sei un avvocato quando stai talmente scoglionato che prendi pure le cause perse e poi ti incazzi con il mondo per averne una vittoria, dimenticandoti di farti pagare).
A proposito, direbbe sempre lui, mi devo ricordare di chiamare quella furba della signora Pallucca per i soldi. Ma questa è tutta un’altra storia.
Vincenzo è così, uno che parla come pensa e si sa che pensando non è che stiamo attenti ogni volta alla punteggiatura, alla consecutio temporum oppure alla coerenza logica tra il concetto di partenza e quello di arrivo. Eppure pensiamo ugualmente e in certe occasioni i pensieri meritano di diventare parole. E le parole di essere scritte.
Certe volte Vincenzo mi telefona, mi chiede se sono impegnato o se posso parlare (anche quando gli rispondo che non posso lui continua comunque) e poi mi dice qualcosa che non mi aspetto e che mi spiazza completamente.
Lui non lo sa ma su quello che racconta ci rifletto per giorni; qualche volta mi sembra di capire ed anche quando non è così sono contento lo stesso di ragionarci sopra.
Come quando, dopo un litigio con Nives, ha tirato fuori quella storia dell’immunità sentimentale (che, cito a memoria, sarebbe una prerogativa delle stronze, di farsi amare all’infinito dando in cambio poco più di niente). Voglio dire, a una definizione così che altro si può aggiungere?
Oppure quando - dopo aver avuto il suo personale miracolo di San Gennaro, cioè dopo che quella dea di Alessandra gli ha dato il suo numero – ha dichiarato che noi siamo uomini-outlet, viviamo male il rapporto con l’attualità, perennemente in saldo e per questo patologicamente scettici rispetto alla possibilità che una gran figa ci corteggi.
Che ancora devo decidere se arrabbiarmi perché usando il plurale mi ha accomunato a sé oppure congratularmi con me stesso per avere un amico che mi conosce tanto bene da potermi offendere con affetto.
Insomma Vincenzo è come fosse il lubrificante dei miei ingranaggi mentali; conoscerlo mi serve ad evitare di surriscaldarmi e di grippare. È il mio meccanico della quotidianità.
Lui intanto si divide l’esistenza tra l’avvocatura, il vivere a Napoli (che di per sé è un'altra forma di lavoro), la quasi ex moglie, i suoi attuali due figli, qualche amico ed un amore nuovo che – non lo ammetterà mai – lo fa sentire inaspettatamente felice.
Parlando di amici volevo presentarvi anche Diego De Silva, che a sua volta conosce un tale di cui dimentico sempre il nome, uno che fa l’editor per Einaudi…
Ottime persone, gente simpatica con cui ti fai l'idea di poter parlare della vita mangiando una pizza a Via dei Tribunali. E credere che non tutto sia perduto.

martedì 4 novembre 2008

È tardi

A raccontare sogni e desideri
a chiedere attenzioni,
per ricercare
tenerezze e baci
di sentimenti accesi
e di passioni.
Ho fatto tardi ormai
tu non ascolti, anzi
nemmeno te ne accorgi.

Mai sei stata mia sul serio
eppure ti ho persa per davvero.