venerdì 2 marzo 2007

I treni perduti

La pioggia smise di cadere improvvisamente.
O meglio fu lui che se ne accorse all'improvviso così come, voltandosi ed alzando gli occhi, si accorse di lei che era venti metri più in là, quasi sotto ad un vecchio orologio che ancora non era stato regolato con l'ora legale.
Il respiro si fermò. Vide un profilo indimenticabile e lunghi capelli castani a coprirle le spalle. Alta, con un corpo slanciato ed armonioso, gambe perfette avvolte in calze velate impreziosite da alcuni disegni che, a prima vista, sembravano minuscole farfalle.
Senza dubbio era lei! Oppure no?
Con la mente in tumulto posò la sacca di pelle sul marciapiede accorgendosi poi della pozza d'acqua sottostante. Ma non era importante, più nulla lo era, tranne lei.
Guardarla era doloroso come può esserlo ferirsi con un coltello arroventato, come sognare di cadere in uno spazio nero, senza contorni e senza fine.
Come morire e non riuscire a chiudere gli occhi.
Osservarla era bello, come soltanto l'amore può essere, come i dolci ricordi semi nascosti nelle pieghe dell'anima, come le sue gambe e il suo corpo e il suo cuore.
Averla pochi passi da sé lo faceva sentire bene e male al tempo stesso; per quanto desiderasse correre via sapeva di non esserne capace.
Non riusciva quasi a muoversi. La pioggia riprese a venir giù... ma quanto tempo era passato? Due anni, forse meno. Precisamente un anno e otto mesi dall'ultima telefonata.
Non si era mai accorto che il calendario continuava, puntuale, a strappar via i giorni dell'amore. Forse è solo una pietosa bugia quella storia sul tempo che lenisce il dolore, forse i ricordi importanti non scompaiono mai, si mimetizzano soltanto.
- Ti prego voltati, fa che possa guardarti. - Ecco ho cominciato anche a parlare da solo.
- E se prende lo stesso treno? Se non mi riconosce? Se invece finge di niente? -
Potrei sempre andarle vicino e salutarla come farebbero due vecchi amici, io che le sorrido, lei che mi guarda...
- Come scusi? No, mi dispiace non so che ora è! -
Ma un pregiato Sectora al suo polso stava lì a far bella mostra di villania ed a farlo sentire ancora più stupido.
Intanto ripensava al suono della voce di lei e alle sue parole.
- Qualunque cosa accada voglio dirti che sei stato la cosa migliore che la vita mi ha dato e, se avessi la forza di tornare indietro, rifarei esattamente le stesse scelte... Ti voglio bene. -
Il vento recava ancora l'eco di quella frase. Allora la gente rideva e giocava nel sole d'agosto fingendo di non vedere quella curiosa scena d'amore, con due stupidi attori costretti a separarsi perché incapaci di restare uniti.
Se un regista, nell'ombra della pineta, avesse battuto il suo ciak nessuno si sarebbe stupito.
- Tanto meno io, primo attore di una tragica commedia che forse avevo contributo a scrivere ma che, sicuramente, non sapevo recitare. -
[continua... forse]

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