venerdì 8 ottobre 2010

Colore nero abisso - due

È stata una giornata molto strana, ieri.

Mentre pensavo a cosa avrei dovuto fare per morire, confrontandomi con uno stato d’animo del tutto inusuale, finivo col compiere gesti sciocchi nella loro ordinarietà, decisamente incompatibili con i miei pensieri.
Voglio dire che – credo sarete d’accordo – non ha molto senso acquistare un nuovo spazzolino da denti sapendo che non si avrà occasione di adoperarlo.
Così come è stato del tutto inutile passare in cantiere a controllare se avevano scaricato il materiale atteso da settimane (a proposito, non è arrivato), oppure occuparsi del progetto - irrealizzabile – di un aumento di cubatura in pieno centro storico.
Immagino che tutto avesse a che fare con la necessità di mantenere un contegno, con la volontà di conservare una parvenza di normalità almeno sul lavoro e con gli estranei.
Intanto il tempo mi passava addosso ed io, lo ammetto, pur cercandolo, non riuscivo a trovare un solo pretesto per desistere.
Al contrario quando il beep del cellulare mi ha mostrato il suo messaggio – non ci sarò questa sera a casa, fai quello che vuoi – oltre al quando ho immaginato anche il dove sarebbe accaduto.
Poi, come un automa, ho ritirato la posta da una trimestrale allegra in modo irritante, ho scritto alcune lettere ed ho telefonato rinviando appuntamenti vari.
Ho cercato anche di immaginare l’espressione dei miei interlocutori una volta saputa la notizia; ma probabilmente la maggior parte di loro, dopo uno smarrimento di circostanza, chiederebbe soltanto quando poter ritirare i propri incartamenti.
Non so se riesco a rendervi l’assurdità della situazione.
Percepivo me stesso come fossi una marionetta i cui fili si erano ormai allentati; un pensiero riusciva bene, a comando, ed un altro subito dopo appariva completamente disarticolato ed incoerente.
Mi accompagnava soltanto la certezza di non avere più niente da dire e, peggio ancora, l’agghiacciante sensazione di non aver avuto mai nulla di importante da raccontare al mondo.
Come ho già detto, troppi problemi e troppi fallimenti con cui confrontarmi.
E ieri (oggi ancora non saprei) ero stanco degli uni e degli altri anche se la causa di entrambi, alla fine di questi pochi conti che rimangono, resto soltanto io.
So che potrete solo biasimarmi – anch’io al posto vostro lo farei – ma neppure il pensiero, pure presente, di non veder crescere mio figlio riusciva a distogliermi da un proposito insano ma almeno risolutivo.
Che per uno disperato, uno che in qualche modo si è sempre sentito provvisorio, credetemi, non è un fatto secondario.
E comunque, ho riflettuto, stando così le cose avrei avuto scarse possibilità di essere un buon padre, presente ed amato.
A beneficio dei miei giovani collaboratori, ho messo ordine in ufficio per ciò che potevo ed ho disposto persino alcuni pagamenti che rinviavo da settimane. Perché nessuno potesse dire, devo aver pensato, che l’ingegnere è morto per debiti.
La restante parte dei soldi – il disponibile, poca cosa – l’ho girata sul suo conto, perché ne facesse ciò che preferiva o almeno li adoperasse per il bimbo. Disgraziato si, ma anche responsabile!
Nel pomeriggio, perché ce l’avevo in agenda ma soprattutto per ingannare ancora il tempo e me stesso, ho persino presenziato ad un convegno su un argomento che neppure mi ricordo.
Fintanto che il disgusto per me stesso non ha avuto il sopravvento e, l’ennesima volta che qualcuno ha salutato dando appuntamento all’indomani, sono semplicemente andato via.
Perché quando è troppo è troppo. E nessuno più di me può saperlo.
[continua... forse]

2 commenti:

  1. so che dovrei aspettare la fine ma sono spiazzata da questo racconto, senza parole...
    parolaio che è successo?? ;-)

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  2. agghiacciante...
    parliamone...

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