Colore nero abisso - tre
Ieri sono riuscito a sopravvivermi.
Lo ripeto per quelli tra voi che sono arrivati in ritardo, ho provato a morire ma non l’ho saputo fare.
Non è che possa descrivere molto di quanto è accaduto, comunque non in maniera precisa, almeno da un certo momento in poi. Tutto si è svolto in modo meccanico e confuso al tempo stesso.
Non è che possa descrivere molto di quanto è accaduto, comunque non in maniera precisa, almeno da un certo momento in poi. Tutto si è svolto in modo meccanico e confuso al tempo stesso.
Ero io ad agire ma - sto provando a renderlo comprensibile anche a me stesso - non ero chi decideva le mie azioni; per esempio mentre cercavo in alcune bottiglie il coraggio che sapevo di non avere.
Ricordo di essermi seduto in terra a scrivere qualcosa su un quaderno dalla copertina nera (che ora non so più dov'è) ed ogni tanto tiravo un lungo sorso per non sentire più il dolore. Dopo non rammento altro, se non sprazzi di coscienza tra il pianto, i conati di vomito ed il cellulare che squillava impazzito accanto a me sul pavimento.
Nel frattempo il circo era già cominciato ed io, che ne sarei stata l’attrazione principale, neppure lo sapevo.
Quando ho riaperto gli occhi qualcuno mi stava prendendo a schiaffi ed intorno c’erano voci estranee, tute colorate, rumori vari, uniformi e confusione; occhi sconosciuti mi stavano fissando dall’alto con disapprovazione – perlomeno così mi pareva – e mani svelte cercavano di fare il loro lavoro su di me.
Confesso che il primo pensiero - il più stronzo fra tutti - è stato quello di un altro fallimento, un altro errore da scontare in qualche modo. Col trascorrere dei minuti, nonostante i movimenti goffi ed i pensieri lenti, la mia temporanea sospensione dalla realtà lasciava spazio ad un imbarazzo inesprimibile a parole.
Mentre mi facevano sedere e varie domande restavano senza una risposta mi scoprivo nuove lacrime per il disagio, lo scandalo e la mia meschinità.
Avrei voluto che tutti se ne andassero e invece tutti, lì a fissarmi, probabilmente avrebbero voluto che scomparissi io.
E poi ancora il viaggio fino all’ospedale, lo stomaco sottosopra, il ritorno a casa in un silenzio caritativo ed irreale.
Questa mattina le braccia non mi fanno troppo male e comunque ho un’emicrania così forte che riesco a sentire solo il suono che mi rimbomba in testa.
Accanto a me, ancora con gli occhi chiusi, c’è lei.
Lei che, intuendo non so cosa e non so come, mi ha salvato da me stesso ed avrebbe avuto tutti i motivi per non farlo.
Fa un certo effetto leggere la scheda del pronto soccorso e devo guardare più volte le generalità per convincermi di essere davvero io. Quella diagnosi da cronaca nera - tentato suicidio con lesioni ad entrambi i polsi – è stata pietosamente cancellata dal medico di guardia e trasformata in qualcosa che riguarda l’ebbrezza alcolica ed uno stato d’ansia.
Le ferite fuori difficilmente avrebbero potuto uccidermi ma quelle che mi porto dentro – ed anche quelle inespresse che ora vedo nei suoi occhi svegli – invece non scompariranno mai; le ricorderemo, come quei dolori che si riacutizzano quando cambia il tempo, e per sempre io dovrò portarne il peso.
Volete sapere cosa rimane davvero alla fine di tutto questo grande casino? Soltanto un mesto senso di vergogna.
Mi vergogno per ciò che io stesso ho provocato e per le conseguenze che probabilmente ci saranno. Ma non si tratta solo di questo.
Soprattutto mi vergogno pensando a tutti coloro che vorrebbero vivere ed invece un male se li porta via, a tutti quelli che ho perso e neppure si sono accorti della fine, ai vecchi che il tempo li consuma lenti e a quei bambini cui la vita non fa regali neppure alla partenza.
Mi vergogno perché quel nero profondo, quando c’è, non dovrebbe comunque essere motivo per gettare la spugna senza tentare ancora un altro colpo contro i guai dell'esistenza.
Mi vergogno perchè qualcuno, nonostante tutto, mi vuole bene e lo sapevo; se ciò non mi è bastato il torto è solo mio.
La conclusione, se proprio deve essercene una, in fondo è tutta qui.
La conclusione, se proprio deve essercene una, in fondo è tutta qui.
Io se mi guardo dentro vedo il mio cuore nero
Poi forse svanirò e non dovrò più guardare la realtà
Come si fa ad affrontare le cose se tutto il mondo è nero?
(da “Paint It Black”, The Rolling Stones)
Ho sempre fatto il tifo per il protagonista di questo racconto. Evidentemente, lui non sapeva di avere dentro di sè la forza necessaria per sopravvivere ai colpi tostissimi che la vita non ci risparmia.E'la tragedia che vivono tutti coloro i quali hanno condotto un'esistenza "brillante" e difronte ad un sopraggiunto accidente si sentono persi. Chiudo, caro PF, con un apprezzamento tutto per l'autore:il sentimento della vergogna è cosa buona e giusta, tutti dovremmo provarla allorchè ci rendiamo conto di ingigantire fino all'inverosimile i nostri problemi, tanto da ritenerli insostenibili e desiderare di farla finita. Come dice il protagonista,la vita è sacra, per la vita si lotta fino all'ultimo respiro, per far nascere una vita si tenta l'impossibile....
RispondiEliminaGrazie PF, ci fai riflettere...e molto....
La svolta noir???
RispondiEliminaoppure la svolta esistenzialista??? Mah.
RispondiEliminaNon credo di aver compreso.
però racconto pesante, ecco, non brutto "pesante". Ciao
invece racconto brutto!
RispondiEliminahai scritto di meglio parolaio e @ Dionea dico che tutto quel commento, così eccessivo, meritava miglior oggetto.
a me è piaciuto
RispondiEliminaè soplo un racconto diverso dagli altri, non capisco tutta questa sorpresa
ciao parolaio
C'ero, ci sono e ci sarò. Sempre.
RispondiElimina@Anonimo:Chi di passioni vive è sempre eccessivo...sempre...
RispondiEliminachi siamo noi, Pubblico di un Blog, per giudicare un racconto bello o brutto?In base a quali parametri: Contenuto? Messaggio? Stile?
Il colore nero-abisso è in ognuno di noi, insieme a tutto il resto della gamma. Prevale sugli altri solo nei monenti di massima fragilità. E in quei momenti possiamo solo sperare che tutto il bene che ci circonda,che non sempre vediamo e apprezziamo, venga a salvarci.
Anche questo, a suo modo, è un racconto che parla d'amore:il non-amore per se stessi, l'amore degli altri che non è bastato, l'amore caritatevole di una donna ferita che accoglie, nonostante tutto, il suo uomo.
E voi dite che il racconto è "brutto"??? :-)
E' la Vita ad essere brutta...talvolta...
parolaio forever!
RispondiEliminascherzi a parte com'è tutto questo accanimento?
per me hai scritto di meglio (lettere dal silezio è super) ma va bene così
@ Dionaea: ti saluto però noi, pubblico di un blog, possiamo pure dire qualcosa, con educazione, perchè altrimenti il pubblicare neppure avrebbe senso, non ti pare?
parolaio però di qualcosa, dai...
@sabrina: ciao! Certo che bisogna esprimersi liberamente e nei modi che ognuno ritiene appropriati. Se non lo facessimo perderebbe di senso esserci in un Blog e non ci sarebbe confronto. Un Blogger scrive perchè qualcuno lo legga e commenti.A me i commenti partono in automatico: faccio il critico di professione! Ecco, svelato il perchè degli "eccessi"! Saluti a tutti e scusa PF per l'invasione sul tuo Blog.
RispondiEliminaalla prossima....
posso dire una cosa? troppe chiacchiere!
RispondiEliminaè un bel racconto, duro, tagliente che fa star male come deve
ma soprattutto quello che risalta e che nessuno ha considerato è la scelta stilistica
l'uso della prima persona, questo è quello che taglia le gambe al lettore
provate a pensare se avesse usato l'impersonale o la terza persona, l'impressione sarebbe stata completamente diversa
ciao a tutti
Salve e tutti (oppure a nessuno).
RispondiEliminaVoglio solo aggiungere un commento.
La penna (metaforica) che diventa lama, l'inchiostro che diventa sangue, la disperazione che taglia più di un rasoio.
Non conosco molti racconti che mi hanno fatto stare così male prima e così bene dopo.
Una catarsi che forse è solo mia e che Tu autore magari neppure volevi.
Un grande, grande, GRANDE, racconto (anche se perde un po' nella pubblicazione a puntate o forse solo nella dimensione del blog).
Scrivi di più Parolaio.
Che la Follia va condivisa!