martedì 5 ottobre 2010

Colore nero abisso

Ieri sera ho tentato di uccidermi.

Lo so, me ne rendo conto, non è una bella cosa da dire a degli estranei; anzi riconosco essere un’antipatica intromissione – la mia, non la vostra – nella vita altrui con una notizia sgradevole, non richiesta ma comunque vera.
Nel raccontarlo ora (che poi significa soprattutto nel poterlo raccontare) il fatto mi sembra anche meno drammatico di ciò che l’intento suggerisce ed anzi, per certi versi, mi appare quasi grottesco.
Sarà che, per l’appunto, sono ancora vivo; sarà che nonostante tutto ieri sono stato soltanto il protagonista inconsapevole della mia storia; sarà che ho sbagliato tutte - ma proprio tutte - le battute di un copione inesistente. Ma recitare all’impronta, si sa, è difficile, richiede un talento vero che evidentemente io non ho.
Però ho imparato una cosa importante.
Che l’angoscia, il sentirsi disperati – ed anche il compiere gesti che poi qualcuno definirà tali - non sono necessariamente sentimenti impulsivi, un qualcosa che per forza deve essere irriflessivo perchè dettato da un impeto. Per me almeno non è stato così.
Intendo dire che ieri mattina alle sette, quando sono uscito da casa, avevo già stabilito che volevo morire anche se, ad essere sincero, non è che avessi proprio le idee chiare in proposito. Forse la decisione l’avevo presa già durante la notte ma con l’alba mi è apparsa chiara e definitiva.
Un pensiero che si è insediato nella mia testa prima di ogni altro ed è stato talmente tenace che con il trascorrere lento delle ore mi è sembrato come se l’avessi sempre avuto.
Immagino che vorreste chiedermi le ragioni di una tale scelta, ammesso che averne possa in qualche modo spiegare, se non giustificare, il proponimento.
Accetto questa domanda muta - è il minimo se uno ha la fastidiosa spudoratezza di fare certe dichiarazioni – ma di motivi, giusti o sbagliati (che prima dovremmo intenderci sull’accezione degli uni e degli altri), non ne ho.
C'era solo l'eco - nessuna speranza, letteralmente, nessuna speranza - di tanti, troppi, errori. E problemi. E fallimenti.
Potreste dirmi – e forse avreste ragione ma capite bene che non avrebbe avuto importanza ieri e non ne ha ora - che non ci sono motivazioni abbastanza valide.
Così non provo neanche a spiegare, non tento neppure di ricalcolare la strada che ho percorso per arrivare fino a qui, con tutte quelle curve prese troppo in velocità e i tanti bivi sicuramente sbagliati.
Se una spiegazione è necessaria, se un motivo – uno soltanto - può bastare allora c’è soltanto quello. La disperazione.
Ho compreso che perdere la speranza è l’ultimo incidente (o se volete il penultimo) che può capitare alla nostra vita; non riuscire più a scorgere il domani diventa solo l’anticipazione della fine.
Una cornice nera per ogni proprio pensiero.
Uno schermo nero da fissare costantemente; come fosse una benda che è inutile togliersi perchè tanto non c'è altro da vedere.
Il riflesso, nero, della propria immagine e soprattutto la consapevolezza di apparire così anche agli altri.
Quel nero che a volte è come fosse un adesivo, che si appiccica addosso qualunque cosa uno faccia; un colore talmente profondo che quando ci sei immerso non riesci più a coglierne i confini in alcuna direzione. E appunto ti disperi.
[continua... forse]

1 commento:

  1. "e guidare come un pazzo a fari spenti nella notte per vedere se poi è tanto difficile morire"... Sera, interno auto, radio, l'altro ieri.
    Ti penetrano così dentro che le senti davvero tue queste parole. E acceleri.
    Ma oggi scriviamo. Dall'aldiqua. E questo è già speranza.

    OLAI

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