venerdì 1 agosto 2008

Lettere dal silenzio - due

«Sai che Alessandro parte?», aveva detto una ragazza bruna ad un’amica.
«Alessandro chi?», aveva risposto l’altra mentre salutava distrattamente un tizio invece molto interessato a lei.
«L’architetto, il mio amico Alessandro… te ne ho parlato. Quello del progetto giù al porto turistico. L’hai anche conosciuto alla festa di Natale!». Già a questo punto quella conversazione aveva distolto e monopolizzato la sua attenzione.
Le ragazze erano entrambe sedute davanti al bancone colorato del bar, su sgabelli altissimi in plastica trasparente; gambe in bella mostra e almeno una delle due – quella distratta – con evidenti problemi di cellulite.
Entrando nel locale erano le prime persone che si era trovata davanti e poi, mentre aspettava che si liberasse un tavolo, era capitata a poche decine di centimetri dalle loro spalle e dalle loro voci.
«Sarà ma non credo di ricordarlo», era stata la replica, per poi aggiungere «Che vuol dire che parte? Vacanza, lavoro, cosa? Che c’è di insolito?».
Anche lei aveva pensato la stessa cosa. Che c’è di strano, che cosa vuoi dire? E qualunque cosa sia dilla ora perché ormai ci stanno indicando dei posti liberi dall’altra parte della sala.
«Parte. Trasloca. Si trasferisce in un’altra città».
Le parole si erano solidificate nell’aria fredda come se fossero state prodotte dal condizionatore montato sul soffitto; e come cubetti di ghiaccio le avevano procurato un’insopportabile brivido lungo la schiena.
Parte. Trasloca. Mentre si sedeva al tavolino e non rispondeva alla domanda del cameriere continuava a ripetersi quelle parole per renderle reali, per essere sicura di non averle immaginate.
Si trasferisce in un’altra città.
Ma dove? Quando? Perché lei non ne sapeva nulla? Gli altri in ufficio ne erano informati? Decine di improvvise domande si avvicendavano e tutte sembravano richiedere urgenti risposte. Come era possibile che stesse accadendo davvero un’enormità come quella? Ma, ancora più importante, perché? La stessa morsa allo stomaco che aveva avvertito prima ripropose ora la sua stretta energica e sembrò darle il presagio di una risposta.
Tra la quiete apparente della stanza ed il fragore dei suoi pensieri cercò di ricordare cos’è che poi aveva confusamente farfugliato.
Si, sono un po' stanca. No, va tutto bene. Si il mojito mi piace. No, io non posso berlo ora perché… perché… devo andar via! Devo sistemare una faccenda, magari ci vediamo dopo.
Quest’ultima parte l’aveva memorizzata meglio. L’espressione incredula di Marco mentre lei letteralmente fuggiva, rapita da un’angoscia inesprimibile con le parole, promettendo una telefonata che non sarebbe mai arrivata; non quella sera in ogni caso.
Uscendo dal locale aveva tirato il fiato e, per un attimo, era stata tentata dal chiamare Alessandro e chiedergli conto di tutto oppure semplicemente sbattergli in faccia che lei sapeva!
Invece si era subito diretta verso l’ufficio come se dovesse trovare la prova materiale di un delitto o, più semplicemente, l
a conferma di quelle maledette parole – parte, trasloca, si trasferisce – ancora immobili nell'aria come un fumetto triste. Ed ora si trovava lì, sola e quasi al buio seduta alla scrivania di lui, incapace di articolare pensieri troppo profondi per paura di trovare risposte altrettanto assolute.
Si accese una sigaretta, l’ennesima della serata. Lui non avrebbe voluto ma non le importava e poi l’aria condizionata era spenta.
Riflettè su ciò che era accaduto negli ultimi tempi. I loro contatti si erano alquanto diradati ma questo, tutto sommato, non era un fatto inconsueto nel loro rapporto; c’erano sempre state fasi alterne, avvicinamenti e distacchi, a volte senza un motivo specifico ed altre appresso ad una discussione o un litigio. Niente però aveva mai intaccato quel feeling fondato sicuramente sulla reciproca attrazione ma anche su lunghi, eloquenti, silenzi.
Alessandro, poi, era stato molto impegnato con quel suo nuovo progetto e lei... lei praticamente non c’era stata mai in ufficio presa dal lavoro, dalla partecipazione ad alcuni convegni e da altri impegni fuori città.
Quanto tempo era trascorso dall’ultima volta che avevano preso un caffè insieme? Settimane forse e addirittura mesi dall’ultimo pranzo; quest’ultimo se lo ricordava bene perché avevano trascorso un bel pomeriggio.
Di recente, al ritorno da un ennesimo viaggio, lo aveva ritrovato più scontroso del solito ma non se n’era curata più di tanto e, francamente, aveva altro a cui pensare.
Adesso, però, sembrava che stesse accadendo qualcosa di drammatico e definitivo; non riusciva a spiegarsi neppure le sue stesse sensazioni mentre cercava freneticamente di unire i pensieri come i tasselli di un enorme puzzle.
Spense la sigaretta nel fondo di un bicchiere d’acqua e indugiò nel silenzio.
[continua... forse]

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