martedì 23 settembre 2008

Ritagli di una vita

Sono innamorata.
Mi guardi e mentre lo dici sorridi, seduta dall’altro lato di un tavolino in alluminio serigrafato, in un bar con poche pretese e buona musica, mentre i caffè si freddano e le parole incalzano.
Non è un sorriso qualsiasi ma contentezza vera.
Come il ritrovare una cosa che ti eri rassegnato ad aver perso, come il conoscere la risposta ma – meglio ancora – presagire la domanda, come arrivare alla fine della corsa e non sentirne la fatica senza per questo apparire odioso agli avversari.
Sono innamorata.
Le labbra sono di nuovo unite come se non avessi parlato ma l’impronta dell’allegria è rimasta loro stampata sopra. E poi ridi anche con gli occhi, con le fossette sulle guance, ridono perfino i tuoi capelli che ora stai tormentando con quelle dita da pianista.
L’inconfessato desiderio di ogni uomo è trovarsi ora al posto mio e sostenere uno sguardo come il tuo, pieno di promesse di felicità.
A patto di essere il destinatario di tanto sentimento.
Sento che stai per dirlo un’altra volta, faccio per anticiparti alzando una mano in segno di resa ma tu previeni me e peschi l’asso – di cuori, ovviamente – in questa immaginaria mano di poker.
Non mi sentivo così dai tuoi tempi.
Non mi facevano sentire così dai tuoi tempi…
Punto, scala reale massima. Il banco vince! Vince e sorride.
La playlist che devi aver concordato col destino tesse insieme i miei pensieri ed una voce che entrambi ricordiamo bene ora canta per noi, nonostante tutto ancora per noi…
Non so immaginare l’espressione del mio viso che tu, comunque, puoi sempre leggere prima e meglio di me. Quante altre volte, occhi negli occhi, ci siamo fatti bastare parole come queste per scaldare la nebbia di un inverno?
Non so capire se c’è una risposta adeguata ma, se anche fosse così, sono sicuro che non è importante.
Quante fotografie di noi dovranno scorrere in quest’attimo per fare da contrappeso a ciò che hai detto?
Quanti ritagli di una vita si devono collezionare per completare la raccolta e poi potersi dire, serenamente, “questa è fatta”?
La tua felicità è contagiosa e commovente.
Mi emoziona, una volta tanto, non essere costretti a rincorrere il passato per sentirsi vicini, ora solo complici innocenti nel tempo che sarà.
Ti guardo ed hai quell’aria furba di quello che sa già come andrà a finire il film e si gode i particolari sullo sfondo, quelli di cui tutti gli altri giù in platea non si accorgeranno mai.
Resisterti è impossibile e rido anch’io.
Chissà perché mi viene in mente quell’unica lettera che seppi scriverti e che non mi rendesti mai. Chissà se ora mi accontenterai.
Sono innamorata.
Non lo ripeti più ma ormai lo so; senza quasi aprire bocca ci siamo raccontati anni di silenzio e, per ciò che è stato, tanto può bastare.
Buona vita anche a te allora.
Mentre lo penso mi sento come un bacioperugina e rido della mia stupidità; mentre lo dico, invece, mi sembra quasi di dovertelo e anch’io mi sento in pace con il mondo.

She seems to have an invisible touch
She reaches in and grabs right hold of your heart

giovedì 18 settembre 2008

La notte del vulcano - due

Alcuni locali mi passano accanto di gran fretta, diretti verso la sommità di una piccola altura posta sul lato ovest del parco. Scherzano a gran voce tra loro e riesco a decifrare solo una parte di quello che dicono ma pare che l’eruzione sia già cominciata. Istintivamente guardo in alto, verso l’ipotetica direzione della montagna, ma non vedo nulla anche perché la pioggia mi acceca.
Seguo l’istinto e mi sposto veloce, compiacendomi della momentanea solitudine; del resto nessuno mi rivolge la parola e comunque non riuscirei a spiegare in alcun modo le sensazioni che sto provando.
Salgo alcuni scalini e mi incammino per un ennesimo percorso. La foschia e la natura rigogliosa rendono piacevole ogni passo.
C’è una leggera salita che mi porta ad una piscina immensa che inizia davanti ai miei piedi e di cui in lontananza non scorgo la fine. Sui lati ci sono alcune cascate che immagino essere di acqua calda; al centro ci sono vasche più piccole con panchine circolari in pietra.
In giro ci sono gruppi di persone e coppie ma la piscina è talmente grande che riesco soltanto a distinguerne le sagome.
Entro e scopro che anche lì l’acqua è a quaranta gradi.
Mi immergo con cautela e cerco di impormi un minimo di relax mentre nuoto lentamente verso il centro del piccolo lago. Mi prendo qualche bracciata di respiro fintanto che arrivo ad una delle tinozze centrali che, con un brivido, scopro essere colma di acqua freddissima, quasi gelida.
Passare dal molto caldo al troppo freddo – qui la temperatura non deve essere superiore ai venti gradi - da una sensazione straniante. Resto immerso qualche minuto e poi, insieme ad altri anonimi bagnanti, mi sposto di nuovo nella vasca calda.
Il benessere è immediato e spero di distendermi sul serio. Torno nell’acqua fredda un’ultima volta e, per via dei miei pensieri oppure a causa del brusco cambio di temperatura, mi accorgo di avere un’erezione.
Intanto il temporale continua e crea una benefica cortina di riservatezza; adesso piove così fitto che diventa difficile vedere ed essere visti.
Decido di esplorare la piscina calda e mi spingo verso il perimetro esterno godendo del calore che mi circonda. Alcune piante quasi toccano l’acqua e creano ulteriori angoli nascosti oltre quelli che sono stati pensati ad arte da chi ha progettato la vasca.
Mi siedo sotto una piccola cascata. Da qui, seppure in lontananza, posso vedere ciò che accade sul vulcano.
La cima – o almeno quella che dovrebbe essere tale – è contornata da un chiarore che debolmente spicca nel buio del cielo plumbeo; la montagna si è svegliata davvero e ad intervalli irregolari emette sbuffi di fumo e brevi colate di lava. Si sta formando un denso torrente incandescente che sembra dirigersi verso un gruppo di alberi.
Ogni tanto una roccia ardente rotola velocemente verso valle per poi urtare un altro masso e frantumarsi tra innumerevoli scintille oppure spegnersi come una torcia esausta.
È uno spettacolo affascinante che non riesce a sollevarmi lo spirito, a portare via un’angoscia indefinita.
All’improvviso capisco cosa c‘è che non va, cos’è che mi manca. Comprendo il motivo di tutta la mia inquietudine.
Finalmente capisco che manchi tu.
In questo quadro dipinto con tutte le possibili tonalità del verde, schizzato col rosso e nero di una montagna in fiamme, bagnato da una pioggia fitta manchi solo tu.
Con questa consapevolezza il dolore per la tua assenza diventa quasi fisico e mi riesce difficile persino respirare.
Manca quel tuo sguardo sottilmente indagatore, manca il tuo sorriso, mancano la tue gambe flessuose che immagino nuotare in questa vasca, manca quel tuo costume nuovo che non ho mai visto e che ancora fantastico di toglierti.
Manca tutto il tuo essere così viva.
Il mio stesso desiderio mi ferisce mentre immagino la tua bocca e le tue mani, mentre sogno tutti i baci e le carezze, tutto ciò a cui pensare ora non dovrei.
Le grida della gente mi riportano al presente e non vorrei.
Mi sento solo e rifletto sul fatto che sei scomparsa da settimane, hai ignorato le mie chiamate e i miei messaggi, non hai risposto ad alcuna mail. Adesso ci separano chissà quanti fusi orari ed io non so fare altro che desiderarti con un’intensità pari all’angoscia che ne ho in cambio.
Vorrei scriverti qualcosa proprio in questo momento ma il pensiero che non risponderesti frena ogni slancio; sto già troppo male così per confrontarmi ancora con la tua indifferenza.
Eppure mi manchi insopportabilmente ed ora riesco a vedere anche il tuo volto nella nebbia, disegnato da una pioggia che nel frattempo si è fatta più sottile.
Il tuo posto dovrebbe essere qui, in questo emisfero, accanto a me.
Il fiume rosso sul vulcano ha ormai raggiunto la piccola radura e il magma sta incendiando gli alberi come fossero cerini, ricoprendone i resti dopo pochi attimi.
Allo stesso modo brucio anch’io mentre non so fare a meno di dar vita ai miei pensieri e domandarmi - stupidamente a voce alta - dove sei.

lunedì 15 settembre 2008

La notte del vulcano

Sono le sei del pomeriggio ed è già buio, sia per l’incombente notte tropicale sia per un cielo nuvoloso carico di pioggia.
Se alzo gli occhi verso un orizzonte immaginario riesco a distinguere soltanto l’ombra dell’Arenal che si staglia maestoso su di me.
Gli abitanti del luogo dicono che questa notte, sul cratere principale, ci sarà un’eruzione; sono tutti entusiasti ma a me sembra solo un pretesto per comperare lattine di birra in confezioni da sei e fare festa. Pura vida, in fondo è questo lo slogan nazionale.
In ogni caso la montagna appare davvero imponente ed io del resto non ho mai assistito ad uno spettacolo simile, se non guardando alcune immagini in televisione; mentre formulo questi pensieri mi rendo conto che la lunga fila di auto che ha intasato la strada è diretta proprio lì. Turisti e locali che vogliono assicurarsi la prima visione.
L’ingresso delle Terme Baldi, proprio alle pendici del vulcano, a prima vista è un luna park rumoroso e troppo colorato, buono per attirare l’ennesimo gringos di passaggio, con il portafoglio sempre troppo aperto e gonfio di dollari pregiati.
La curiosità prevale sulla stanchezza e mi accosto alla reception insieme a molte altre persone, tutte troppo felici per il mio umore. Pago e consegno un documento, in cambio ricevo una piccola chiave e le indicazioni per raggiungere gli spogliatoi.
All’interno l’atmosfera migliora perché diventa più rarefatta.
Dal viottolo che sto percorrendo intravedo alcune vasche ricolme di acqua avvolte in una nebbia impalpabile; alcune sono piccole e sembrano affollate, in altre c’è meno gente forse perché, immagino, l’acqua è più calda.
Il giardino intorno è molto più esteso di ciò che immaginavo tanto che non riesco a scorgerne i confini; in realtà si tratta di un vero e proprio parco tropicale in cui la flora è la padrona di casa e la fauna, me compreso, mi sembra abbastanza ridicola.
Intorno a me centinaia di persone in costume da bagno si spostano in continuazione da una piscina all’altra, alla ricerca di nuovo benessere o semplicemente per prolungare il divertimento.
Adesso sono ansioso di cambiarmi perché voglio esplorare tutto quello che mi circonda; mi infilo velocemente il costume, chiudo a chiave l’armadietto assegnatomi ed esco nuovamente all’aria aperta.
In questo attimo preciso, senza il preavviso di lampi o tuoni, inizia una pioggia torrenziale con gocce grosse come perle australiane; cerco un riparo provvisorio ma l’acquazzone certo non smetterà a breve.
Mi rendo conto che non ha alcun senso preoccuparmi della pioggia e inoltre sono troppo impaziente di guardarmi intorno; mi incammino nei vialetti illuminati da piccoli lampioni.
Dopo qualche secondo sono completamente bagnato ma non mi importa. Mi accorgo di essere preda di una strana frenesia a cui ancora non so dare una spiegazione né un nome.
Nella prima, piccola, vasca che mi si para davanti ci sono soltanto due ragazze; sul cartello all’ingresso – in inglese ed in spagnolo – c’è scritto che si tratta di acqua fredda. Mi avvicino ed entro nella piscina che in realtà è soltanto tiepida.
La sensazione è piacevole e sicuramente meriterebbe una permanenza maggiore ma in lontananza vedo avvicinarsi un gruppo chiassoso ed io invece ho voglia di stare solo; mi accorgo che la curiosità si sta trasformando in una certa inquietudine.
Faccio per uscire dalla piscina e le ragazze, probabilmente inglesi, si scambiano uno sguardo d’intesa; soltanto quando sono già in piedi, però, mi rendo conto che sono molto vicine tra loro e quella con i capelli più lunghi sta accarezzando l’altra sotto la superficie dell’acqua.
La pioggia intanto cade sempre più intensamente.
Mi sposto verso un’altra vasca piena fino all’altezza di cinquanta centimetri; è un po’ più grande della precedente e ci sono alcuni lettini di pietra e ceramica ancorati al fondo. La temperatura indicata dai cartelli è di quaranta gradi.
L’acqua è decisamente calda e mi ci vuole qualche secondo per abituarmi. Soltanto dopo alcuni minuti riesco a immergermi e nuotare fino ad un lettino. Mi stendo faccia in su e la pioggia colpisce inevitabilmente il viso e quelle parti del corpo che non sono sommerse. Acqua calda e pioggia fresca che si fondono mentre tutt’intorno si alza un leggero vapore.
L’esperienza diventa sempre più strana e insolita.
Accanto c’è un’altra vasca da cui si solleva una nebbia decisamente più fitta; anche lì ci sono lettini di pietra ma è stranamente disabitata.
Mi avvicino cautamente ed immergo un piede solo per un paio di secondi perché più a lungo non mi pare possibile; l’acqua è calda oltre ogni limite e così comprendo perché non c’è nessuno. Mentre mi allontano leggo che la temperatura è di cinquanta gradi.
Lascio alcune coppie stese sui lettini e mi sposto alla ricerca di non so cosa, verso nuovi sentieri ed altre attrazioni. I cartelli indicatori mi informano che più avanti troverò altre piscine, ognuna con la sua specificità derivante dalle caratteristiche dell’acqua sulfurea.
[continua... forse]

mercoledì 10 settembre 2008

“Uomini che odiano le donne” di Stieg Larsson

Analisi dei particolari (come farebbe lui, il protagonista).
Che le ultime pagine di un corposo romanzo poliziesco – quasi 700 pagine – parlino d’amore e non dello stereotipo del maggiordomo assassino vi sembra un dettaglio trascurabile?
A me pare l’ennesimo divertissement di un autore che se lo può permettere in quanto sa di aver costruito una solida trama, di aver chiarito (quasi) tutto quello che c’era da chiarire e, saggiamente, di non aver mutato tutti gli interrogativi in punti esclamativi.
Che sia ogni lettore a cercare la propria personale risposta a questioni di carattere morale o di spessore giudiziario o di rilevanza economico-sociale, se proprio ci tiene.
Psicopatologia della società occidentale (in variante nordica) applicata ai disastri dell’economia globale e buono omaggio per una saga familiare e le sue shakespeariane nefandezze?
Forse si ma è possibile anche godersi soltanto gli equilibrismi investigativi del giornalista economico Mikael Blomkvist e le ossessioni freak della signorina Salander.
A proposito di quest'ultima il vero leitmotiv del romanzo sono proprio quei “promemoria” posti all’inizio di ogni capitolo e contenenti i dati percentuali delle violenze sulle donne nel civilissimo regno di Svezia!
Se la storia vi è piaciuta (o se vi piacerà) divertitevi ad annotare su Google Earth i tanti luoghi citati nel libro; sarà un altro modo di viaggiare nello scritto in attesa di vedere il tutto trasposto sul grande schermo.
Analisi delle conseguenze (come farebbe lei, la protagonista).
Un buon romanzo, ben congegnato e ben scritto, con un’introspezione piacevole dei personaggi e qualche pagina di troppo. Il tutto in attesa che la trilogia si compia (“La ragazza che giocava con il fuoco” è già in libreria ma per l’ultimo volume - “Castles in the sky”, titolo inglese non confermato – si dovrà attendere ancora un po’).
Penso ad alcune recensioni che ho letto e mi chiedo perché chiedere (inutilmente) di più alla letteratura di evasione.
Tanto più che – anche questo va ascritto a merito dell’autore - la prossima volta che incontrerò un inviato de Il Sole 24 Ore lo guarderò con occhi diversi!

giovedì 4 settembre 2008

All'amico che non ebbi

Chissà che cosa prova
quel triste uomo
che solo va a morire
in una notte sconosciuta.
Chissà se vede
avvicinarsi la signora
oppure se la benda
lo copre all'improvviso.
Chissà il suo ultimo pensiero.

Un fucile non può
sparare al destino.

[In memoria del Tenente Giulio Ruzzi, 66° Reggimento fanteria "TRIESTE", morto in Somalia il 6 febbraio 1994]