venerdì 9 febbraio 2007

Non sei niente

Quelle che mancano sanno mancare e fare più male...

L'altra storia, quella precedente, era terminata. Più volte.
E più volte ricominciata.
Le ferite col tempo avevano smesso di fare male; anzi, col ripetersi dell'eterno duello, le ferite neppure si procuravano. O forse lui era diventato bravissimo a fingere guarigioni miracolose.
Più realisticamente del necessario scrollava le spalle ed andava avanti, aspettando il prossimo litigio ed il successivo pretesto per scopare e fare pace.
Intanto continuava a telefonare all'ufficio approvvigionamento per spedizioni di cui non gli poteva importare di meno.
Oggi era lui ad occuparsi di quell'ufficio ed ogni mattina non poteva non ridere di quel contrappasso, mentre ascoltava richieste e reclami di cui non interessava niente a nessuno.
La sua attuale storia d'amore era diversa per tante ragioni, anche per l'intensità delle emozioni che ne scaturivano.
Anna era entrata nella sua vita con un impeto tale da spazzare via tutto e tutti.
Anna l'aveva persino convinto a cambiare città ed a farlo riflettere sul matrimonio, non più come ultimo rifugio dei perdenti ma come nido in cui ritrovare se stessi.
Anna, dopo la sua ennesima cazzata, l'aveva lasciato - quasi - sbattendo la porta. Quasi!
Non aveva aperto bocca e se lo aveva fatto non aveva proferito verbo.
Guardava la scena dinanzi a se, guardava la casa, guardava la camera, le pareti, il letto e non muoveva neppure un sopracciglio.
Camminava nel lungo corridoio ondeggiando i fianchi sui tacchi alti, mentre raccoglieva in una calma irreale tutte le sue cose.
Arrivata alla porta, si girò su se stessa, scostò i capelli biondi dalla bocca e disse solo quelle tre parole.
"Non sei niente".
Poi fece per sbattere la porta sui cardini ma all'improvviso ci ripensò.
Il silenzio che ne seguì fu anche peggio del rumore immaginato.
Tutto questo accadeva il 15 novembre di tre anni prima e mancava ormai tutti i giorni della sua vita.
Faceva male, ancora male, sempre male.
Non sei niente, aveva detto. Pur di dire qualcosa sul momento avrebbe voluto correggerla, preso com'era da un ridicolo dubbio sulla correttezza sintattica di quella frase.
Lei lo aveva guardato un'ultima volta ed aveva ancora sussurrato : "Non sei niente".
Ed era vero!

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