giovedì 15 marzo 2007

"These streets" di Paolo Nutini

Meglio un italiano che è costretto a cantare nella lingua d'Albione per rincorrere il successo o meglio uno scozzese autentico (da quattro generazioni almeno, a leggere le note ufficiali sul suo sito) che ha il nome italico e suona un'ottima chitarra pop & soul?
A parte la retorica domanda il ragazzo (sia detto a merito dei suoi vent'anni) ci sa fare ed ha talento. C'è poco da dire e da aggiungere a quel (poco) che già è stato scritto.
Forse è uno dei migliori lavori pubblicati nel 2006 anche se le playlist radiofoniche lo contemplano tuttora con una piacevole frequenza.
Easy pop oppure soft rock, non credo che abbia molta importanza; ognuno riconduca la sua musica dove vuole e dove può.
Così come ricordare i Beatles piuttosto che Bowie sembra più un esercizio di stile che una reale necessità; pare più ovvio pensare (ma forse anche questo è un errore) che in camera sua, accanto alla libreria, ci sia almeno un cd degli Oasis, forse qualcuno dei Travis, sicuramente Jack Johnson e almeno "Parachutes" dei Coldplay.
I testi pure sono tutt'altro che irrilevanti e prevedibili (almeno in confronto al restante panorama british): il punto di vista di un ragazzo su questo "big bad world", sulle cose da fare, le strade da percorrere e, soprattutto, gli amori da vivere.
Da incentivare la sua propensione per le ballad e medaglia d'oro per quella che titola l'album.
These streets have too many names for me
I'm used to Glenfield road
and spending my time down in Arkie
I'll get used to this eventually
I know, I know

I treni perduti - due

I viaggiatori si accalcavano al riparo della pensilina e lo infastidivano, impedendogli di pensare e nascondendo la sua visuale.
Decise di muoversi: un passo avanti era un salto a ritroso nel tempo, ogni movimento lo costringeva ad un malinconico ricordo.
- Ma forse non è lei, quell'impermeabile non l'ho mai visto. - Bravo l'idiota, davvero una brillante deduzione.
Un treno di emozioni stava per investirlo e lui non aveva nessuna voglia di scansarsi. Gli sembrava di ricordare un'aforisma adatto all'occasione, anzi una volta ne avevano anche riso insieme.
Intanto lei, ora seduta su una fredda panchina piena di scritte colorate, ripose il libro e si alzò. E' proprio vero che le regine sono i pezzi più forti della scacchiera; è vero che non cadono mai e Valentina ora riprendeva il suo trono.
Dolorosi flashes di un tempo che credeva passato per sempre.
- I suoi occhi scuri capaci di guardarmi in fondo al cuore, le sue braccia che stringono per non farmi andar via... ma alla fine chi è quello che se ne è andato? Se non mi sentissi così male potrei anche riderne e pensare ad altro.-
- Dannazione, proprio adesso che l'avevo dimenticata... Si, lo so che è una menzogna ma che dovrei fare? Continuare ad amare un sogno e sperare di non svegliarmi mai? E poi magari vederla tra le sue braccia. -
-Già, quasi dimenticavo, c'è anche lui. Chissà se sono ancora insieme, magari la starà aspettando dall'altra parte di questo viaggio. Forse sono sposati ed allora io che farò? -
- Devo essere completamente pazzo, come può un'ombra sconvolgermi la vita? E non sono neppure certo che sia lei; dovrei almeno esserne sicuro prima di farmi prendere da una crisi isterica. -
D'un tratto intorno si fece uno strano silenzio, quello che a volte si crea in una folla vociante. Sentì distintamente una voce dentro di sé che urlava.
Ti amo, Valentina ti amo ancora.
In quell'attimo il treno del destino arrivò polverizzando le minute gocce d'acqua sui binari e, contemporaneamente, i suoi pensieri.
In preda al panico le corse accanto, afferrò per primo la maniglia della carrozza numero dodici, si voltò a guardarla e udì soltanto un ringraziamento frettoloso mentre fissava le piccole farfalle sulle sue gambe scomparire nella polvere del vagone bordeaux.
L'adrenalina che un attimo prima impetuosa gli scorreva dentro adesso scivolava via, sotto il marciapiede, proprio come la pioggia. Un macigno intanto gli rotolava sul cuore.
Quell'ultimo quarto d'ora se lo sarebbe ricordato per un pezzo.
Dopo quella che a lui parve un'eternità le porte si chiusero ed i vagoni si mossero. Ebbe la sensazione che tutti si stessero domandando per quale motivo non vi era salito.
Forse anche il capostazione aveva tardato a fischiare il via libera per dargli il tempo di pensare. Si, ma pensare a cosa?
Adesso era immobile, confuso e solo accanto all'orologio rotto, a pochi passi giaceva la sacca che aveva abbandonato. Nella mente e nel cuore un unico pensiero.
Il sole di tutta l'altra gente forse oggi non sarebbe venuto fuori ma il suo, lentamente, già diradava le nubi. Ed allora correre verso un telefono, cercare delle monete e sollevare la cornetta fu quasi un solo gesto.
Quante volte aveva battuto quei tasti?
Il primo trillo e un attimo di incerto silenzio lo paralizzò; poi il secondo ed il ricevitore dall'altro capo venne sollevato.
Intanto il treno del destino si allontanava veloce nella pioggia e nel grigio, insieme ad una sconosciuta di nome Valentina.

lunedì 5 marzo 2007

La sconosciuta

Ad un tratto mi volto
e vedo i ricordi
tremare
in due occhi
che il tempo non cambia.
Piano rivedo
il mio sguardo
in quegli occhi,
in un tempo passato
trascorso per sempre.
Ed un po' mi vergogno
per come si cambia.

venerdì 2 marzo 2007

I treni perduti

La pioggia smise di cadere improvvisamente.
O meglio fu lui che se ne accorse all'improvviso così come, voltandosi ed alzando gli occhi, si accorse di lei che era venti metri più in là, quasi sotto ad un vecchio orologio che ancora non era stato regolato con l'ora legale.
Il respiro si fermò. Vide un profilo indimenticabile e lunghi capelli castani a coprirle le spalle. Alta, con un corpo slanciato ed armonioso, gambe perfette avvolte in calze velate impreziosite da alcuni disegni che, a prima vista, sembravano minuscole farfalle.
Senza dubbio era lei! Oppure no?
Con la mente in tumulto posò la sacca di pelle sul marciapiede accorgendosi poi della pozza d'acqua sottostante. Ma non era importante, più nulla lo era, tranne lei.
Guardarla era doloroso come può esserlo ferirsi con un coltello arroventato, come sognare di cadere in uno spazio nero, senza contorni e senza fine.
Come morire e non riuscire a chiudere gli occhi.
Osservarla era bello, come soltanto l'amore può essere, come i dolci ricordi semi nascosti nelle pieghe dell'anima, come le sue gambe e il suo corpo e il suo cuore.
Averla pochi passi da sé lo faceva sentire bene e male al tempo stesso; per quanto desiderasse correre via sapeva di non esserne capace.
Non riusciva quasi a muoversi. La pioggia riprese a venir giù... ma quanto tempo era passato? Due anni, forse meno. Precisamente un anno e otto mesi dall'ultima telefonata.
Non si era mai accorto che il calendario continuava, puntuale, a strappar via i giorni dell'amore. Forse è solo una pietosa bugia quella storia sul tempo che lenisce il dolore, forse i ricordi importanti non scompaiono mai, si mimetizzano soltanto.
- Ti prego voltati, fa che possa guardarti. - Ecco ho cominciato anche a parlare da solo.
- E se prende lo stesso treno? Se non mi riconosce? Se invece finge di niente? -
Potrei sempre andarle vicino e salutarla come farebbero due vecchi amici, io che le sorrido, lei che mi guarda...
- Come scusi? No, mi dispiace non so che ora è! -
Ma un pregiato Sectora al suo polso stava lì a far bella mostra di villania ed a farlo sentire ancora più stupido.
Intanto ripensava al suono della voce di lei e alle sue parole.
- Qualunque cosa accada voglio dirti che sei stato la cosa migliore che la vita mi ha dato e, se avessi la forza di tornare indietro, rifarei esattamente le stesse scelte... Ti voglio bene. -
Il vento recava ancora l'eco di quella frase. Allora la gente rideva e giocava nel sole d'agosto fingendo di non vedere quella curiosa scena d'amore, con due stupidi attori costretti a separarsi perché incapaci di restare uniti.
Se un regista, nell'ombra della pineta, avesse battuto il suo ciak nessuno si sarebbe stupito.
- Tanto meno io, primo attore di una tragica commedia che forse avevo contributo a scrivere ma che, sicuramente, non sapevo recitare. -
[continua... forse]

mercoledì 28 febbraio 2007

Il rumore dei pensieri

Giù in strada c'è silenzio.
Ci sono alcuni lampioni bianchi, intervallati da altri gialli, che sporcano il buio con una luce irreale.
Nelle strade vicine ogni tanto passa un auto e un cane puntualmente abbaia ma il rumore si perde presto nella notte e torna il silenzio.
Anche dentro di me c'è silenzio. Quello pesante di troppe parole non dette, quello rumoroso dei pensieri che ti tengono sveglio.
Lei è uno di questi pensieri. Lei è un bel pensiero.
Come tutti gli innamorati, vittima e carnefice di me stesso, a volte soltanto poterla guardare mi fa stare bene anche se ci sarebbe tanto altro da fare, tanto da dire. Se solo lei volesse.
Nella benefica calma che precede il giorno cerco qualcosa cui legare le mie fantasie e mi viene in mente una canzone - un'altra canzone - che parla di lei. Come fanno le parole?
Per un attimo il dolore di saperla lontana - quel dolore fisico che taglia il respiro - prende il sopravvento e mi immobilizzo nel buio della stanza, aspettando che passi.
Penso al suo viso e istintivamente sorrido. Come fanno le parole?
io sospeso al tuo sorriso e le mani perse su di te poi ricordo mi perdevo se arrivavo alle tue labbra sempre pronte a ricordarsi di me...
Poi rivivo attimi di ieri, all'enorme distanza che può esserci in un momento, all'incapacità di dire qualunque cosa, di fare un qualsiasi gesto per paura di sbagliare e vederla andare via. Di nuovo andar via.
Così canto un'altra strofa per non far morire i miei pensieri, per vivere fino al mattino e vederla entrare sorridendo dalla porta principale della mia vita. Come fanno le parole?
una come te io non l'ho vista mai per una come te si può cambiare sai si può imparare sai si può decidere che tu sei quella giusta che...
Guardo i riflessi dei lampioni nella penombra ormai meno densa.
Tra un'ora sarà l'alba e il silenzio assordante di questa notte svanirà.

domenica 11 febbraio 2007

Gianrico Carofiglio

Buongiorno, sono l'avvocato Guerrieri, Guido Guerrieri. Piacere mio, prego si accomodi, come ha detto che si chiama? Chi le ha fatto il mio nome?

Ecco guardi, non so da che parte cominciare, il fatto è che non ho molta dimestichezza con le questioni legali e con gli avvocati, meno che mai con i penalisti.
Ha ragione, meglio cominciare dall'inizio.
No, non sono di Bari, lei si? Io sono venuto qui perché c'era lei, intendo dire Margherita, la mia compagna. Anzi, forse dovrei dire la mia ex compagna.
Perché fa quella faccia avvocato, ho detto qualcosa di sbagliato?
Dunque le dicevo di Margherita, che poi è il motivo per cui sono qui.
Una mattina se n'è andata dopo un litigio e non è più tornata. Forse è andata a stare da una sua amica, Claudia mi sembra che si chiami, ma non ho notizie da due settimane e sono preoccupato.
Il fatto è che quel giorno nell'impeto della discussione - senza pensarci, si insomma ad occhi chiusi - le ho dato uno schiaffo.
Lei era lì, sulla porta di casa e mi stava guardando con un'aria di sfida cosicché non c'ho visto più e l'ho colpita.
Una sola volta, per carità, poi le ho chiesto subito scusa ma lei correva già per le scale ed ha quasi travolto il signor Thiam, quello del terzo piano.
Posso chiederle come si chiama la musica che stiamo ascoltando? Dvorak? Ma è l'autore o il titolo? Come si scrive ché poi me lo segno?
Vado avanti. Allora, io voglio querelare Margherita.
Come non ha capito? Voglio denunciarla e vorrei che se ne occupasse lei. Non so per cosa, faccia lei, pensi a qualcosa ed io poi firmerò.
Guardi che posso pagare bene, per esempio quanto costa una querela per percosse? Oppure per lesioni semplici?
Si, lo so che sono stato io a colpirla ma vede sono convinto che se mi invento qualcosa per farla tornare, magari anche per farla arrabbiare, lei verrà da me ed io potrò provare a convincerla.
O almeno a farle venire dei dubbi - ragionevoli dubbi - sulla sua decisione.
Ho già pensato a tutto io: noi la denunciamo, lei si farà difendere da un suo collega - magari uno meno bravo di lei – e quando ci sarà il processo, lì davanti al giudice io le dichiarerò tutto il mio amore. Lei così si renderà conto di quanto mi ama, che non può fare a meno di me, mi perdonerà e tutto tornerà come prima.
Anzi le volevo chiedere, il giudice ci può sposare? Sa come succede in America che nei tribunali si può fare di tutto?
Lei potrebbe farci da testimone, testimone inconsapevole certo, ma che importanza ha?
Avvocato cos’ha, sta male? Avvocato…
Ma lei sta ridendo! Non capisco, cosa c'è da ridere avvocato!
Eppure le signore Pappalepore mi avevano detto che era una persona seria, mi avevano parlato così bene di lei…

Maria Teresa... Maria Teresa, accompagni il signore per favore e non mi passi telefonate per mezz’ora.
Anzi no, esco a fare due passi, vado verso il lungomare
.

[Spero che l'autore (o chi per lui), semmai leggerà queste righe, vorrà perdonare questo innocente divertissement che vuol essere soltanto un sentito omaggio alla sua prosa e al suo modo di intendere la vita e la giustizia, almeno per come può trasparire dai suoi libri.]

venerdì 9 febbraio 2007

Non sei niente

Quelle che mancano sanno mancare e fare più male...

L'altra storia, quella precedente, era terminata. Più volte.
E più volte ricominciata.
Le ferite col tempo avevano smesso di fare male; anzi, col ripetersi dell'eterno duello, le ferite neppure si procuravano. O forse lui era diventato bravissimo a fingere guarigioni miracolose.
Più realisticamente del necessario scrollava le spalle ed andava avanti, aspettando il prossimo litigio ed il successivo pretesto per scopare e fare pace.
Intanto continuava a telefonare all'ufficio approvvigionamento per spedizioni di cui non gli poteva importare di meno.
Oggi era lui ad occuparsi di quell'ufficio ed ogni mattina non poteva non ridere di quel contrappasso, mentre ascoltava richieste e reclami di cui non interessava niente a nessuno.
La sua attuale storia d'amore era diversa per tante ragioni, anche per l'intensità delle emozioni che ne scaturivano.
Anna era entrata nella sua vita con un impeto tale da spazzare via tutto e tutti.
Anna l'aveva persino convinto a cambiare città ed a farlo riflettere sul matrimonio, non più come ultimo rifugio dei perdenti ma come nido in cui ritrovare se stessi.
Anna, dopo la sua ennesima cazzata, l'aveva lasciato - quasi - sbattendo la porta. Quasi!
Non aveva aperto bocca e se lo aveva fatto non aveva proferito verbo.
Guardava la scena dinanzi a se, guardava la casa, guardava la camera, le pareti, il letto e non muoveva neppure un sopracciglio.
Camminava nel lungo corridoio ondeggiando i fianchi sui tacchi alti, mentre raccoglieva in una calma irreale tutte le sue cose.
Arrivata alla porta, si girò su se stessa, scostò i capelli biondi dalla bocca e disse solo quelle tre parole.
"Non sei niente".
Poi fece per sbattere la porta sui cardini ma all'improvviso ci ripensò.
Il silenzio che ne seguì fu anche peggio del rumore immaginato.
Tutto questo accadeva il 15 novembre di tre anni prima e mancava ormai tutti i giorni della sua vita.
Faceva male, ancora male, sempre male.
Non sei niente, aveva detto. Pur di dire qualcosa sul momento avrebbe voluto correggerla, preso com'era da un ridicolo dubbio sulla correttezza sintattica di quella frase.
Lei lo aveva guardato un'ultima volta ed aveva ancora sussurrato : "Non sei niente".
Ed era vero!

mercoledì 7 febbraio 2007

"Manuale d'amore 2" di Giovanni Veronesi

A volte non c'è bisogno di avere grandi aspettative per avere grandi (o piccole) delusioni.
Capita di non credere a tutte le risate di cui ti raccontano e di pensare che forse hanno riso tanto per propria allegria o per troppa disperazione; così come non vuoi credere all'incubo di cui ti parlano, perchè una commedia sull'italianità non può improvvisamente trasformarsi in una tragedia.
Allora compri un biglietto, ti siedi e aspetti che qualcosa accada.
Ma non accade nulla!
Il regista è un tizio che conosce bene il mestiere ma questa volta, uno e trino (soggetto, sceneggiatura e regia), indovina il primo, sbaglia di molto la seconda e da dietro la macchina da presa alla fine non riesce a salvare il risultato.
Gli attori sono (quasi) tutti bravi e (quasi) tutti ben impostati nei rispettivi personaggi; ma neppure questo è sufficiente ad evitare di guardare l'orologio nell'ennesima pausa del racconto.
Insomma difficilmente riuscirà a distogliere dai propri pensieri se, come capita a me, i pensieri sono tali da farti compagnia anche la notte con la loro ingombrante presenza.
La parte migliore del film? Buio in sala, il rullo parte, lo schermo s'illumina e si odono le note di un pianoforte... eppure sentire (un senso di te)...

martedì 6 febbraio 2007

Uno strano inverno

È l'alba. C'è ancora un po' di foschia mentre la striscia rossastra dell'orizzonte si alza velocemente. Dovrebbe far freddo ed io sentirmi intirizzito ma è uno strano inverno, fatto di belle giornate e grandi sogni. Come se fosse primavera.
La nebbia del mattino è ormai rada e in lontananza riesco a scorgere i contorni dell'unico castello della vallata. Sarà un'altra giornata di sole, penso mentre rientro in casa e chiudo la porta finestra alle mie spalle.
Sorrido senza un motivo apparente e subito il pensiero di te riprende saldo il suo posto, al centro esatto del mio essere.
Neppure mi ricordo l'ultima volta che ti ho dimenticata.
Non saprei più dire del mio ultimo risveglio senza te, dell'ultima cosa fatta senza avere in mente i tuoi occhi scuri o il tuo sorriso chiaro.
Ho bisogno di un caffè per lasciarmi alle spalle il torpore di poche ore di sonno. Riempio con cura il filtro cercando di non spargere la polvere tostata ma perdo; ripulisco il piano e penso che se ci fossi stata tu avresti riso della mia maldestra pignoleria e, tutto sommato, avresti avuto ragione.
Ma tu non ci sei e l'alba non è esattamente la tua ora preferita.
[continua... forse]

lunedì 5 febbraio 2007

"Handful of soul" di Mario Biondi

Superbo soul su un letto morbido di rhythm and blues oppure il contrario, se preferite. Il risultato, per fortuna, non cambia.
E se gradite mister jazz c'è anche lui, non manca proprio nulla.
Mentre il basso riempie bene tutti i vuoti del silenzio, la batteria muove discreta i propri passi e poi una grande voce nera (che meno nera non si può) ti prende con se e ti accompagna in quel locale piccolo e fumoso, quello da cui alcune sere sale lenta una musica dannata, quello con la piccola porta nera che sembra una uscita di servizio ed invece è l'ingresso principale per un temporaneo paradiso a sette note.
Menzione al merito per un tale (si fa per dire) Fabrizio Bosso la cui tromba arriva così in profondità che ti distrai e smetti persino di guardare il seno di quella cameriera che con te, fattene una ragione, proprio non uscirà mai!
Grande disco.
Take me up and let me down
hold me when i'm sad
take my eyes look around
take my ears listen to the stars
this is what u are

In attesa di te

Mi chiedo dove sei.
Vorrei sapere dovesei conchisei cosafai ora, proprio in questo istante, proprio mentre sto dicendo questa parola, mentre sto scrivendo il punto alla fine di questa frase. Punto.
Fra tante cose soprattutto mi chiedo perchè non smetto di farmi domande cui tu non darai risposte. Domande che non hanno più interrogativi ma ancore di piombo che mi trascinano al fondo.
Forse le risposte le conosco già, forse le ho sempre sapute e sempre dimenticate; se partecipassi ad un quiz sulla mia vita probabilmente perderei, non per ignoranza ma per stupidità.
Dovesei? Da qualche parte in giro nell'oscurità.
Conchisei? Insieme a lui, of course.
Cosafai? Meglio non sapere, non provare a pensare, non immaginare neppure.
Anche questa sarà una notte lunga e vuota, potrò soltanto aspettare... Quanti punti di sospensione servono per rendere meno vana l'attesa di un uomo ridicolo?
Quanto resta da attendere almeno per sapere cosa sto aspettando?