Per quanto possa conoscere la città – non ci ho mai vissuto però l’ho frequentata spesso – non saprei ripetere il percorso del tassista e non so dire com’è che siamo arrivati e lui mi sta invitando a scendere. Più che nelle strade mi sono perso nei miei pensieri.
Il prezzo della corsa mi sembra perfino troppo basso così arrotondo alla decina superiore e il mio interlocutore capisce definitivamente che non devo essere molto lucido. Per di più scendendo dall’auto incespico nel montante della cintura di sicurezza anteriore e mi ritrovo quasi in ginocchio sul marciapiede.
Non so se ridere o imprecare ma scelgo la prima ipotesi quando vedo il numero civico dall’altra parte della strada. Sono arrivato davvero.
Mentre mi appresto a citofonare maledico le mia limitata spigliatezza perché so già che non mi riuscirà fingermi disinvolto. Inoltre dovrei mentire sulla ragione del mio viaggio – qualcosa del tipo “Che ci fai qui? Niente, avevo un impegno di lavoro e ti ho fatto una sorpresa” – ma le ci vorranno circa quindici secondi a smascherarmi.
L’ultima volta che le ho detto una bugia mi ha scoperto talmente in fretta che, ridendo, ha rinunciato ad arrabbiarsi e poi mi ha obbligato a pagare pegno. Opium di Saint Laurent, 75 ml, parfum non eau de toilette, non so se mi spiego!
Suono una, due volte, smetto di respirare e aspetto.
A rispondere è Danica, la ragazza serba con cui divide un appartamento troppo piccolo anche per una persona sola.
Sento di avere le funzioni cerebrali rallentate e sono costretto a ripetermi a mente ciò che mi sta dicendo tra lo stridio dell’altoparlante. No, non c’è. Si, aveva un impegno. Si, torna tra poco. Voglio salire?
“No, grazie, aspetto giù. Magari faccio un giro”. Quest’ultima frase la pronuncio mentre con un poderoso sforzo di volontà ricorro al mio mantra personale e comincio a salmodiare ritmicamente aum-va-tutto-bene–aum.
Di tempo ne ho perso pure troppo, sotto ogni punto di vista, ed ora col tempo di un’attesa dovrò ancora confrontarmi.
Così compro un quotidiano che non leggerò e seduto in uno Starbucks lì vicino, per curiosità più che per desiderio, ordino un caffè americano che non finirò mai. Da dove sono seduto non riesco più a vedere il portone e la tensione fa sì che la pausa ristoro termini velocemente.
Stupiscila, consiglia uno slogan posto di traverso sulla fiancata di un autobus che mi passa davanti; la bellissima bionda fotografata effettivamente sembra stupita del brillante che adorna il suo anulare sinistro.
Stupiscila, mi ripeto molto più umilmente mentre mi avvio verso quel fioraio che so trovarsi dietro l’angolo.
Il tempo di scrivere due righe – da anni, per gioco, sempre le stesse – su un anonimo cartoncino ed un fascio dei suoi fiori preferiti è già pronto per esserle recapitato. So che il tizio alla cassa, dopo aver letto l’indirizzo, vorrebbe chiedermi perché non li porto via io ma con quello che costa la consegna a domicilio reputa più saggio farsi gli affari propri.
Torno davanti al palazzo e mi apposto dall’altra parte della strada ad aspettare ed a fare astruse congetture sulla strategia e sui vantaggi reali di una buona organizzazione. Mi viene in mente un assioma del famigerato capitano Malvasi durante la naja: piegarsi, adattarsi, raggiungere lo scopo.
Che poi è quello che sto facendo, o almeno ci sto provando. Nella testa, però, mi rimbomba ancora la voce del comandante di compagnia: non esiste provare, esiste solo riuscire.
Mi accorgo del garzone di bottega che sta uscendo dal portone a mani vuote. Anche lui mi vede e gli pare opportuno urlarmi sopra al traffico, a beneficio dell’intero rione, che su in casa non c’è nessuno e che i fiori li ha lasciati dietro la porta.
La coinquilina deve essere uscita e a me pare che la situazione vada alquanto complicandosi. Avrò diritto di pensare che forse, diciamo forse, non sta andando proprio tutto per il verso giusto?
Poi considero che ben altro potrebbe andare storto e mi rassegno a credere che il fantomatico bicchiere sia ancora mezzo pieno.
In questo modo trascorrono altri venti lunghissimi minuti e poi il tempo si ferma. Anche il traffico si ferma, anche i passanti, i rumori, gli odori, i pensieri si fermano.
Lei arriva dalla circonvallazione interna e riesce a trovare un parcheggio al primo tentativo. Scende trafelata dall’auto e si avvia a passo veloce verso casa; non si accorge di me, non si guarda neppure intorno anche perché sta parlando concitatamente al telefono. Sembra aver fretta.
Resto a guardare quei suoi trenta passi sul marciapiede e penso solo a quanto è bella. Poi, in rapida successione, rimugino su una moltitudine di altre cose ma su tutte prevale quel primo pensiero. Per me è bellissima.
Ed ora non mi resta che tirare il fiato ancora un po’. Tra un momento troverà i fiori sull’uscio, leggerà il biglietto e saprà che sono qui ad aspettarla; magari l’amica le ha lasciato un messaggio, magari si affaccia subito e mi vede, magari mi telefona, magari mi corre incontro, mi guarda, capisce tutto e ridiamo insieme di tutto il tempo perso… magari…
Magari non accade niente di tutto quello che ho pensato e quasi un quarto d’ora dopo me ne devo pur fare una ragione.
Non riesco a capire cosa sta succedendo mentre passo in rassegna tutta una serie di ipotesi drammatiche, dall’ignobile furto delle rose fino ad un’urgenza di qualche tipo, passando per una sua momentanea amnesia.
Ma lei sta uscendo dal portone proprio in questo momento. Si è cambiata ed ora sfoggia un abito aderente D&G, sandali neri e borsa Braccialini; abbiamo comprato insieme parte di ciò che indossa e probabilmente c’ero io anche quando ha provato la biancheria intima. Se prima era bella adesso sta da dio.
Sembra allegra, sorride. Scruta nella mia direzione e finalmente riesco a fare un passo avanti anch’io. Sorride ancora mentre mi vede ma l’espressione è strana, come se io non fossi lì davanti a lei, come se non stesse guardando me ma attraverso me!
Mi accorgo che ha in mano il biglietto dei fiori.
Tutto è accaduto molto velocemente ma io non ne ho memoria, come se non ne avessi avuto una percezione diretta, come se me l’avessero riferito. Come quando vieni investito e qualcuno dopo ti racconta cos’è successo.
C’è un auto, una Bmw nera, che forse era in doppia fila già da qualche minuto.
C’è un uomo, mi pare sia in divisa, che si piega in avanti e le apre lo sportello dall’interno.
C’è lei che in scioltezza sale a bordo e nel mentre il vestito svela le sue gambe lunghe prima che si sistemi la borsa in grembo.
C’è che forse si sono baciati ma non so, non potrei giurarci; forse lui ha baciato lei, non so, ma a ripensarci non credo cambi molto.
Rivedo da ore la stessa sequenza di immagini mentre perdo l’ennesima chiamata per un volo che potrebbe riportarmi a casa.
Sono seduto davanti alla vetrata panoramica e mi sento talmente vuoto da non avvertire alcun dolore.
Non so neppure com’è che sono arrivato in aeroporto.
Ricordo solo che la radio del taxi passava quella canzone di qualche anno fa… l’aria sulla quarta corda di Bach mixata da quel gruppo pop… everything’s gonna be alright…