"Fuori da un evidente destino" di Giorgio Faletti
Il volume è rimasto sul quarto scaffale della libreria per quasi due anni. Come l’appunto di un impegno che non si riesce mai a portare a termine; come quella telefonata da fare ad un amico che però - anche se non lo chiami subito - sai che non ti porterà rancore.
Poi, dopo che la chiamata l’hai fatta, capisci che ne è valsa la pena e che quell’amico ha saputo raccontarti ancora una storia interessante.
Fatta questa breve (inutile) premessa resta da dire che nel libro c’è una storia, anzi una Bella Storia. Una fiaba per quel fanciullino che dovrebbe essere ancora vivo, da qualche parte dentro di noi.
Ciò non significa che la realtà contemporanea sia estranea al romanzo; semplicemente l’autore non la pone al centro della narrazione ma piuttosto la utilizza al fine di evidenziare un concetto semplice ed utopistico: il futuro sarà un posto migliore se avremo fatto pace col passato.
L’oggi diventa un pretesto per ritornare a ieri – quello dei singoli personaggi ma anche quello inteso come trascorso storico – cercando di ritrovare, proprio come possiamo immaginare farebbe un nativo americano, la pista smarrita o almeno ricordare il momento in cui la si è persa.
In questo viaggio fantastico ci si porta appresso una bisaccia piena dei soliti affanni – il desiderio di libertà piuttosto che l’amore incondizionato, la cupidigia assoluta oppure la malvagità più bieca - solo per avere la conferma che questi da sempre sono il motore che muove il mondo e le altre cose.
La madre Terra intanto, più o meno pazientemente, sopporta il passaggio di tutti quanti noi; di coloro che cercano di sfuggirle (come il protagonista che infatti si rifugia nel volo), di quelli che provano ad abusarne (come l’ignobile speculatore), dei bambini che ne sono allegramente ignari o, infine, degli animali che solo in apparenza ne sono inconsapevoli (come quei cani che non abbaiano mai…).
Insomma metafora e sintesi delle umane storie – quelle vere e quelle leggendarie – inserita in una cornice così affascinante da farti venire voglia di rivedere quegli stessi paesaggi in qualche classico western.
Così mi ritrovo al tramonto, da qualche parte nel deserto rosso dell’Arizona, mentre un vecchio navajo sta cercando di spiegarmi che… le persone non cambiano. Ma a volte si ritrovano.
E alla fine credo che abbia ragione lui.
Poi, dopo che la chiamata l’hai fatta, capisci che ne è valsa la pena e che quell’amico ha saputo raccontarti ancora una storia interessante.
Fatta questa breve (inutile) premessa resta da dire che nel libro c’è una storia, anzi una Bella Storia. Una fiaba per quel fanciullino che dovrebbe essere ancora vivo, da qualche parte dentro di noi.
Ciò non significa che la realtà contemporanea sia estranea al romanzo; semplicemente l’autore non la pone al centro della narrazione ma piuttosto la utilizza al fine di evidenziare un concetto semplice ed utopistico: il futuro sarà un posto migliore se avremo fatto pace col passato.
L’oggi diventa un pretesto per ritornare a ieri – quello dei singoli personaggi ma anche quello inteso come trascorso storico – cercando di ritrovare, proprio come possiamo immaginare farebbe un nativo americano, la pista smarrita o almeno ricordare il momento in cui la si è persa.
In questo viaggio fantastico ci si porta appresso una bisaccia piena dei soliti affanni – il desiderio di libertà piuttosto che l’amore incondizionato, la cupidigia assoluta oppure la malvagità più bieca - solo per avere la conferma che questi da sempre sono il motore che muove il mondo e le altre cose.
La madre Terra intanto, più o meno pazientemente, sopporta il passaggio di tutti quanti noi; di coloro che cercano di sfuggirle (come il protagonista che infatti si rifugia nel volo), di quelli che provano ad abusarne (come l’ignobile speculatore), dei bambini che ne sono allegramente ignari o, infine, degli animali che solo in apparenza ne sono inconsapevoli (come quei cani che non abbaiano mai…).
Insomma metafora e sintesi delle umane storie – quelle vere e quelle leggendarie – inserita in una cornice così affascinante da farti venire voglia di rivedere quegli stessi paesaggi in qualche classico western.
Così mi ritrovo al tramonto, da qualche parte nel deserto rosso dell’Arizona, mentre un vecchio navajo sta cercando di spiegarmi che… le persone non cambiano. Ma a volte si ritrovano.
E alla fine credo che abbia ragione lui.
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