sabato 18 ottobre 2008

“Ultima sentenza” di John Grisham

Dopo aver letto “Il socio” (1991) – ma anche “Il rapporto Pelican” (1992), “L’uomo della pioggia” (1995) o “La giuria” (1996), solo per citare alcuni dei suoi tanti legal thriller, tutti editi da Mondadori – non avrei mai pensato di inserire nella stessa frase le parole Grisham, libro e noia.
Eppure questa volta è così ma, sia chiaro, lo dico con dispiacere.
Tutto è relativo s’intende però, a paragone dei titoli precedenti, la storia narrata in quest’ultimo romanzo mi sembra conduca il lettore su un percorso forse non brutto ma sostanzialmente inutile.
Come percorrere una strada panoramica in una giornata di nebbia: il paesaggio circostante non lo vedremo mai.
Naturalmente non sono in discussione lo stile, la tecnica narrativa o la caratterizzazione (seppure a tratti migliorabile) dei personaggi.
Piuttosto è l’intero impianto dell’opera a soffrire della presenza di tanti, troppi, stereotipi; alcuni dei quali peraltro già presenti in altre opere dello stesso autore.
I poveri (questa volta nel senso letterale del termine) avvocati paladini della giustizia. La corrotta multinazionale che ha inquinato, truffato, corrotto e ucciso. Un verdetto favorevole ai primi da ribaltare a tutti i costi in appello.
Nel mezzo qualche centinaio di pagine – poco legal e molto political, se così si può dire – che indottrinano il lettore sui perversi meccanismi del sistema giudiziario statunitense.
Il tutto passando attraverso il marketing elettorale e la onnipresente attività di lobbying che è l’unica vera responsabile, nel bene e nel male, di qualunque decisione politica o amministrativa del governo americano.
Materia per un saggio di fine semestre alla facoltà di scienze politiche ma per un romanzo con ben altre ambizioni, scritto dall’autore giustamente più celebrato del genere, decisamente è un po’ poco.
Con sorpresa durante la lettura ti trovi a chiedere alla foto che è in quarta di copertina dove si vuole andare a parare; lo sguardo dell’ex avvocato di Southaven, però, questa volta è fintamente rassicurante, forse per dovere di difesa nei confronti del suo cliente preferito.
Per fortuna manca l’happy end perché sarebbe stata la classica goccia in un vaso già colmo di ovvietà.

1 commento:

  1. Concordo su tutto.
    Una vera delusione.
    Complimenti per il blog.

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