“Mare nero” di Gabriella Genisi

qualcosa da dire e qualcosa da tacere
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Ascolto
i miei pensieri
che hanno la tua voce,
i gesti con le mani
che intrecciano le mie,
il fiato col fiato si confonde,
il tempo di uno sguardo
che si consuma lento.
E i baci i baci i baci,
sono l’ingresso al giardino
del tuo corpo
e in esso io, cercandomi,
mi perdo.
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Me ne sto qui
appeso ai punti
sospesi di una frase,
con l'aria sciocca
di uno che si guarda dentro
e ride di stupore a quel che vede.
In bilico sui punti
resto qui,
attento alle emozioni
tese come una corda tesa,
tra le parole dette
e le tue labbra scure.
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Il tempo scorre
troppo lentamente
perchè smettere d'amarti
diventi un'abitudine indolore.
Il tempo non ha senso
se lo fermi e gridi amore.
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Pareti dipinte con una calda tonalità di arancione, magari screziate dalla particolare lavorazione di un sapiente artigiano. Una luce indiretta che sale dal pavimento per illuminare gli occhi senza affaticare lo sguardo. Un calore avvolgente che non si trova in un tecnologico impianto ma è quello che vecchie mura in pietra, arroventate dal sole del mattino, dolcemente restituiscono alla sera.
Se la signora Mannoia fosse un luogo - una stanza in cui potersi rifugiare - io lo immaginerei così perché queste sono alcune delle sensazioni che la sua voce sa ispirare.
Sette anni di attesa, otto autori diversi, dieci brani inediti ed una sapienza interpretativa che, ancora una volta, riesce ad imprimere sulle canzoni un segno di assoluta qualità.
Una capacità che risalta anche quando il brano può sembrare un vestito tagliato male (Jovanotti) oppure è oggettivamente un pezzo trascurabile (Daniele).
Già dopo il primo attacco di chitarra donatole da Ligabue (Io posso dire la mia sugli uomini, ideale prosieguo di Quello che le donne non dicono) la sua carezza vocale comincia ad accompagnare anche l’ascoltatore più distratto, proseguendo per l’intera durata del disco senza cali di intensità.
Così è che l’interprete romana ritrova (e noi con lei) vecchi compagni di strada come Fossati (La bella strada), sapienti celebratori come il maestro Battiato ed il vate Sgalambro (Il movimento del dare) e interessanti realtà con l’ormai affermato Ferro (menzione d’onore alla sua Il re di chi ama troppo).
Tacendo, ma solo per necessità di sintesi, del superbo e consueto apporto dell’amico Piero Fabrizi (ben tre brani, Primavera, Cuore di pace e Sogno di Ali) o del contributo del pugliese Bungaro (bellissima la sua Fino a che non finisce).
L’ennesima conferma che la musica italiana – sapendolo fare – può vivere non di soli cantautori ma anche di interpreti raffinati.
In conclusione un disco da ascoltare più volte per apprezzarne anche i passaggi più evocativi e, soprattutto, per godersi l’abbraccio di una voce suadente… che ti racconta le donne… in una stanza segreta...
Guardo in faccia il sole
Fino a lacrimare
Fino a che si vedrà
Chi per primo abbassa gli occhi…
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A raccontare sogni e desideri
a chiedere attenzioni,
per ricercare
tenerezze e baci
di sentimenti accesi
e di passioni.
Ho fatto tardi ormai
tu non ascolti, anzi
nemmeno te ne accorgi.
Mai sei stata mia sul serio
eppure ti ho persa per davvero.
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